photo aromatic plants

INTRODUZIONE GENERALE: LE ERBE E IL LORO USO

Autor fulvio bulian —  origine articolo independent.academia.edu —

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  • ERBE E ALIMENTAZIONE
  • ERBE E SALUTE
  • ERBE IN CASA ERBE E BELLEZZA
  • ERBE IN TINTORIA
  • ERBE IN PROFUMERIA
  • IL RACCOLTO (PIANTE MEDICINALI)
    PREPARAZIONI IN ERBORISTERIA
  • LE FIBRE TESSILI
  • SCHEDE DELLE PIANTE

ERBE E ALIMENTAZIONE

Le cosiddette “erbe culinarie” (prezzemolo, menta, basilico…) hanno tutte sapori caratteristici che ne consentono l’uso in ricette specifiche o in aggiunta a pietanze per aromatizzare; le erbe spesso aiutano anche la digestione del cibo cui sono associate o la digestione in genere.

Il gusto piuttosto forte delle erbe fa sì che vengano usate in piccole quantità; la parte di pianta che si usa maggiormente sono le foglie, appena raccolte e finemente tritate, oppure essiccate.

Fin dall’antichità le erbe sono state usate per rinvigorire i cibi dal sapore blando, quali pesci, cereali e ortaggi; ad es. in Quaresima si faceva grande uso soprattutto di spezie dato che il cibo era insipido.

ERBE E SALUTE

La storia dell’impiego medicinale dell’erbe ci riporta ad un erbario cinese di circa 5000 anni fa ed esistono papiri egizi del 2800 a.C. che indicano gli usi medicamentosi di erbe come la menta, la maggiorana e il ginepro.Le conoscenze e le esperienze degli Egiziani furono assimilate dai medici greci, tra i quali Dioscoride, medico militare vissuto al tempo di Nerone nel I sec. d.C. Il suo catalogo, che comprende circa 400 erbe medicinali descritte in 4 volumi, rimane un punto di riferimento per la medicina europea nei successivi 1500 anni.

Per secoli, le piante costituirono l’unico aiuto nei problemi di salute e i medici dovevano essere anche botanici e talvolta floricoltori. Per molti secoli la medicina fu gestita soprattutto dagli ordini monastici, che disponevano sempre di giardini farmacologici, dove venivano coltivate le erbe indispensabili all’attività medica.

La maggior parte delle erbe attualmente coltivate in Gran Bretagna – culinarie, domestiche, medicinali- vi arrivò con le invasioni romane; allo stesso modo, le erbe europee furono introdotte dai coloni nel 16 secolo in Nord America, dove si innestarono sulle preesistenti pratiche erboristiche degli indiani, depositari di una considerevole tradizione di fitoterapia praticata con le piante originarie della loro terra.

In seguito, pur restando basata sulle erbe, la medicina divenne sempre più sofisticata con l’arricchirsi delle conoscenze e in particolare con l’invenzione della stampa, che permise di trasmettere le informazioni in modo preciso e dettagliato. Venne di moda la “dottrina delle segnature”, che sosteneva che la pianta somigliante ai sintomi di una malattia avrebbe curato la malattia stessa: ad es. la polmonaria veniva usata per curare le malattie polmonari perché le sue foglie screziate di bianco assomigliavano ai polmoni malati.

Con il progredire della medicina nel 19 sec. si rese possibile collegare i risultati ottenuti alle sostanze chimiche contenute nelle piante e quindi si arrivò a prescrivere il prodotto chimico puro adatto ad un disturbo.

L’uso delle foglie, dei fiori o dell’intera pianta venne abbandonato, ma non ci sono ragioni valide perchè le erbe non possano essere usate a casa nella cura di molti mali minori. Del resto è indubbio che gli antichi medicamenti a base di erbe (piante fresche o essiccate in semplici infusi, cataplasmi o decotti) sono effettivamente di grande beneficio alla salute. Bisogna comunque fare molta attenzione: le varie parti della stessa erba possono avere effetti diversi perché le diverse stagioni di raccolta influiscono sul loro contenuto; anche il dosaggio è un elemento importante.

ERBE IN CASA

Sono in fase di ricerca anche gli impieghi delle erbe nella cosmesi e nella gestione domestica. Ai tempi di Elisabetta I, i sacchettini di lavanda non servivano solo a profumare la biancheria, ma agivano come antitarme e tenevano lontane le pulci e altri parassiti; gambi di lavanda venivano bruciati nelle stanze dei malati, e l’olio di lavanda strofinato sulla pelle teneva lontane mosche e zanzare.

ERBE E BELLEZZA

Le tinture per capelli potevano essere ottenute un tempo solo dalle piante; una delle tinture più antiche è il rosso hennè, ottenuto dalle foglie essiccate e polverizzate della pianta Lawsonia inermis, comunemente alcanna. Tracce di hennè sono state trovate nei corpi mummificati sepolti nelle piramidi egizie e la stessa pianta è stata usata per secoli per tingere anche le unghie e la pelle. Un’altra pianta molto usata per tingere i capelli è la camomilla, i cui capolini forniscono una soluzione adatta a schiarire i capelli biondi e castani; lo zafferano ha lo stesso effetto.

Con le erbe si possono fare lozioni per la pulizia della pelle, maschere di bellezza, shampoo, olii e sali da bagno, saponi e talchi profumati, creme…Le signore cinesi usavano per i capelli profumi ottenuti da piante; i Romani si servivano per il bagno di molte erbe, soprattutto lavanda; gli antichi Britanni per tingersi la pelle usavano il guado, le cui foglie ridotte in pasta producevano una tintura bluastra. Pare che i Britanni usassero tale tintura certamente per spaventare i nemici, ma probabilmente anche perché è un forte emostatico.

ERBE IN TINTORIA

Il progressivo addomesticamento dell’uomo lo rese sempre più interessato all’aspetto della sua casa e ai materiali che indossava. Le piante commestibili che macchiavano la pelle furono le prime ad essere usate nella tintura delle stoffe, come le more di rovo; gradualmente la gamma di colori ottenuti dalle piante si ampliò con l’uso di mescolanze tra i medesimi, che permisero di riprodurne ogni possibile gradazione. I Cinesi praticavano la tintura come arte raffinata già 5000 anni fa, e ci sono erbe che ricordano ancora oggi nel nome la loro abilità tintoria (Isatis tintoria=guado, …). Il sambuco fornisce un azzurro spento, il lavanda e il porpora; i petali di calendula si usavano un tempo per ingiallire il colore del burro e del formaggio; il tarassaco produce un bel rosa…

La rivoluzione industriale diede l’avvio allo sviluppo delle tinture chimiche; l’economicità dei metodi di fabbricazione, unitamente alla garanzia della perfetta riproducibilità di ogni sfumatura, fece sì che le tinture vegetali cadessero rapidamente in disuso.

Le erbe tuttavia possono fornire tinture in tutti i colori dell’arcobaleno, di solito mediante bollitura o macerazione del tessuto vegetale. Nei vari metodi praticati, vi sono quantità standard di pianta e di acqua da usare e attese fino a 6 ore, durante le quali si compiono le varie fasi del processo di colorazione. Per fissare la tintura, nel materiale, ci si serve di un mordente, cioè di una sostanza chimica, come ferro, cromo, stagno, allume…che si può comprare in farmacia. Il materiale da tingere viene dapprima bagnato ben bene, quindi immerso in una soluzione di mordente, bollito per un certo periodo – circa un’ora di solito- e poi trasferito ancora bagnato nella tintura. I vari mordenti possono alterare la sfumatura e l’intensità del colore: ad esempio, la cipolla produrrà il giallo con l’allume e il marrone scuro con il cromo. I materiali che si tingono con maggiore facilità sono la lana e la seta; il cotone e il lino presentano qualche difficoltà per la presenza di cellulosa.

ERBE IN PROFUMERIA

La profumeria è forse un’arte ancora più antica della tintoria , se non altro perché il profumo è una delle caratteristiche più evidenti di una pianta e quindi fu usato prima delle altre per confondere i cattivi odori. I fiori freschi vanno bene per profumare l’ambiente, ma la loro durata è limitata; così, nel tentativo di conservare la loro fragranza, si scoprì che un miscuglio di petali raccolti in uno certo stadio del loro sviluppo, essiccati e mescolati ad un ingrediente in grado di fissarne il profumo (come il giaggiolo) poteva continuare ad emanare profumo molto a lungo. Questi miscugli oggi li conosciamo come “potpourris” dal francese pot=ciotola e pourrir=marcire, anche se gli ingredienti certo non imputridiscono.

Col tempo si scoprì che dai fiori e dalle foglie odorosi si poteva ottenere per estrazione un olio profumato. Uno dei metodi usati per l’estrazione è l’”enfleurage”, che consiste nel fare una specie di sandwich con grasso e petali di fiori all’interno. Un altro metodo è la distillazione, in cui i fiori vengono fatti bollire in acqua e l’olio essenziale, liberato nel vapore, viene raccolto e condensato mediante un sistema di raffreddamento. Un terzo sistema è l’estrazione con alcool, che consiste nel far colare il solvente attraverso il materiale (fiori e foglie), raccoglierlo e distillarlo, in modo da ottenere un olio di forma solida.

Le erbe profumate svolgono un ruolo basilare in quella che è stata definita “aromaterapia”, nella quale olii essenziali fragranti di origine vegetale vengono strofinati sulla pelle; si ritiene che i diversi profumi possano dare sollievo a un gran numero di disturbi fisiologici e psicologici.

POSSIBILI ATTIVITA’ DI PROFUMERIA CON I BAMBINI

  • Bambole di erbe aromatiche

Occorrente: erbe aromatiche fresche, un elastico, un nastro colorato, un cappellino di paglia da bambola, un ago di sicurezza.

Raccogliere un mazzetto di erbe aromatiche fresche e legare gli steli con un elastico Legare un nastro colorato attorno al collo della bambola

Appendere la bambola alla parete

  • Profumi per il bagno

Occorrente: erbe profumate, quadrati di tessuto a maglie larghe, spago

Si mettono le erbe profumate al centro del tessuto e si fa un fagottino legandolo con lo spago.

Se si appende al rubinetto della vasca da bagno, quando si fa scorrere l’acqua calda questa raccoglierà i profumi.

  • Profumi

Occorrente: alcool etilico puro, fiori e foglie profumati, bottigliette di vetro con tappi a presa stagna

Tagliare la pianta a pezzettini e metterli nella bottiglia, riempiendola il più possibile di alcool e tappando bene.

Lasciare riposare per due settimane, poi filtrare il liquido con un pezzetto di garza

Se il profumo è abbastanza intenso, lasciare riposare ancora una settimana, altrimenti aggiungere altri pezzetti di pianta e lasciarli macerare nello stesso liquido altre due settimane

Si può preparare l’etichetta mettendo foglie o fiori della pianta su un cartoncino, ricoprirlo di plastica autoadesiva, fare un foro per infilare un cordoncino e appenderlo alla boccetta.

IL RACCOLTO (PIANTE MEDICINALI)

Le annate più favorevoli alla raccolta delle piante medicinali sono quelle in cui non ha piovuto troppo; gli anni di siccità sono ottimi per le piante aromatiche, quali il timo, il ginepro, l’anice…

Le piante vanno raccolte per lo più nel momento in cui le loro gemme cominciano a schiudere e prima che il fiore sia completamente aperto. Le piante in cui le virtù curative sono racchiuse nei frutti o nelle bacche vanno raccolte quando la loro maturità è completa. I frutti, le bacche, le sementi, i noccioli e gli acini da conservare vanno raccolti prima della completa maturazione, a differenza di quelli che vanno impiegati freschi.

Le sementi vanno raccolte ben mature, le radici quando gli steli della pianta cominciano ad avvizzire. La raccolta delle piante acquose va fatta un po’ prima della levata del sole; per le altre piante è meglio aspettare il sorgere del sole, in modo che la rugiada sia evaporata. La raccolta va sempre effettuata con tempo calmo e sereno.

Gli olii che conferiscono alle erbe i loro particolari aromi sono volatili e quindi svaniscono rapidamente; inoltre, tagli o danni subiti dalla pianta provocano una ossidazione della superficie interessata con conseguente modifica dell’aroma. Diventa quindi importantissimo evitare il più possibile il danneggiamento della pianta nel momento del raccolto. Le parti che servono vanno tagliate e adagiate in strati singoli in vassoi o cassette poco profonde e trasferite in fretta nel luogo di conservazione. Non vanno sovrapposti strati di erbe per evitare processi di fermentazione e vanno tenute distinte le varie specie. Le erbe raccolte dovranno essere libere da parassiti o malattie e non scolorite o danneggiate; se sono sporche vanno pulite rapidamente con una spugna imbevuta di acqua fredda e asciugate tamponando con carta da cucina.

LA CONSERVAZIONE

Il processo conservativo deve proporsi la disseccazione della pianta sia per mezzo del calore solare che di quello delle stufe, del bagnomaria e dei forni. Un mezzo per conservare sbrigativamente erbe e piante consiste nell’ammucchiarle in grandi recipienti di creta, pressandole finchè il vaso non sia pieno fino all’orlo; si tappa poi il recipiente con un sughero spalmato di cera fusa nella parte inferiore e coperto esternamente, dopo averlo applicato, con pece fusa: in tal modo le piante si conservano a lungo senza perdere le loro virtù.

Una moderna alternativa all’essiccazione è costituita dal congelamento; il suo vantaggio sta nel poterlo effettuare subito dopo la raccolta e la rapidità del procedimento garantisce una maggiore ritenzione di sapori e aromi; è però un sistema adatto solo a foglie, fiori e steli interi.

Appena raccolti e prima che appassiscano, si mettono i ramoscelli di erbe da congelare, riuniti in mazzetti sciolti, dentro i sacchetti e riposti nel freezer; non c’è bisogno di pulire prima le erbe.

Un’altra soluzione gradevole consiste nel tritare le erbe ancora fresche e quindi surgelarle immerse nell’acqua di una cubettiera; i cubetti di ghiaccio alle erbe potranno essere usati singolarmente senza scongelarli; si può anche congelare una foglia singola o un fiore intero in ogni cubetto e usarli con effetto decorativo e aromatizzante per le bevande.

PREPARAZIONI IN ERBORISTERIA

Per estrarre dalle piante i principi attivi medicamentosi si ricorre a diverse operazioni

INFUSIONE: si pestano bene e si sminuzzano le piante , poi ci si versa sopra acqua bollente, si copre il recipiente e si lascia riposare per un quarto d’ora. Il liquido va poi colato e se serve anche filtrato con un panno. L’infusione si fa anche in vino, aceto o alcool.

DECOZIONE: si mette la pianta nell’acqua fredda e si fa bollire a lungo ( se sono legni, si dovranno lasciare a macerare per 12 ore). Le piante aromatiche, il cui principio vitale è volatile, vanno sempre adoperate per infusione e non per decozione. La decozione si fa in acqua.

MACERAZIONE: si compie a freddo immergendo in un liquido (acqua,aceto o alcool) per un periodo variabile le piante da cui si vogliono estrarre i principi medicamentosi.

TINTURE o ALCOOLATI: dopo aver ridotto in polvere la pianta si mette a macerare in alcool in vaso chiuso alla temperatura di 40° o a freddo. L’operazione si compie in due volte, prima con la metà dell’alcool che si impiega, poi con l’altra metà, protraendo ciascuna delle macerazioni per 4-5 giorni. Quindi si spreme il residuo, si riuniscono i due liquidi che sono stati tenuti separati e si filtrano.

IDROLATO o ACQUE DISTILLATE: si preparano facendo passare una corrente di vapore d’acqua attraverso la pianta; le acque distillate si alterano facilmente se conservate a lungo.

SPREMITURA: con la spremitura si estrae dalla pianta il suo succo, cioè la parte liquida composta da varie sostanze, quali sali, olii, resine…Si raccoglie la pianta , si lava, si asciuga, si taglia a pezzi e si pesta in un mortaio di pietra; si raccoglie la materia schiacciata in un sacchetto di tela e se ne estrae il succo per mezzo di un torchietto. Il succo va messo in un recipiente di vetro e immerso in acqua quasi bollente, quando è freddo si filtra.

LA TINTURA VEGETALE

ARTI TESSILI E TINTORIE NELL’ANTICHITA’

Nei villaggi palafitticoli sono stati trovati resti che testimoniano l’uso rudimentale della filatura e tessitura già nell’epoca preistorica; tali manufatti avevano i colori neutri delle materie usate. Molto probabilmente poi sono stati colorati con prodotti naturali in seguito all’osservazione delle macchie lasciate da piante, frutti o animali schiacciati.

Nell’Antico Egitto si coltivava e lavorava soprattutto il lino e l’arte tessile aveva raggiunto un alto livello. I colori maggiormente usati erano il blu (ricavato dal guado e da altre piante non conosciute), i gialli (dal cartamo, dallo zafferano e dalla curcuma), e varie tonalità che andavano dal rosa al rosso intenso (dall’hennè e dalla robbia). Questo fatto era dovuto alla difficoltà del lino ad assumere i colori e non alla scarsa conoscenza della chimica, dal momento che a volte usavano per tingere anche ocre, ossidi di ferro e altri minerali. Per l’estrazione dei pigmenti coloranti durante il processo di tintura, si usava urina invecchiata e fatta fermentare con i vegetali.

Presso gli Ebrei il materiale più usato era la lana, sempre tinta in matasse e mai in tessuto mediante immersione in recipienti di marmo. I colori erano lo scarlatto, il giacinto, la porpora e il nero ricavato dalle galle1 di quercia o dal mirtillo.

Tra tutti i tintori del mondo antico i Fenici furono tra quelli più esperti e intraprendenti, perché si dedicarono esclusivamente alla produzione della porpora, alla tintura delle stoffe e al loro commercio. I molluschi Murex trunculus, Purpura Haemastoma e Murex brandaris, usati per la preparazione della porpora, venivano raccolti solo in autunno e inverno perchè in queste stagioni contenevano una maggiore quantità di sostanza colorante ed era possibile una più facile cattura manuale o con reti arricchite di apposite esche. Per ottenere un grammo di colore occorrevano circa 1 Galla:  escrescenza di forma rotondeggiante e di scarso peso e consistenza provocata nelle piante da organismi animali o vegetali estranei.

6000 molluschi. La Purpura haemastoma dava un colore cremisi molto bello, ma meno resistente di quello del Murex trunculus; il M. brandaris dava un colore violetto, ma se mescolato a quello della Purpura dava un color giacinto.

Le stoffe tinte in questo modo avevano colori bellissimi ed erano molto ricercate da sovrani,sacerdoti, alti dignitari, nonostante il loro elevato prezzo, perché si credeva che, grazie al loro particolare colore, attribuissero poteri particolari a chi le indossava.

I Greci lavoravano soprattutto la lana e avevano appreso dai vari popoli costieri l’arte tintoria.

I Romani usavano tuniche e mantelli di lana nel suo colore naturale, ma in seguito alle conquiste e agli influssi dei vicini iniziarono ad usare vesti rosso-arancioni o porpora per i re e i sacerdoti.

Nel Medioevo la povera gente lavorava la lana e il lino e li tingeva, estraendo i pigmenti dalle piante, solamente in giallo, beige e marrone, perché le varie tonalità di rosso estratte dai vegetali non erano solide e si modificavano con il sole o i lavaggi. Intanto erano stati introdotti il cotone e il baco da seta e la bachicoltura si diffuse rapidamente. Il lino, la lana, la seta e il cotone, tessuti e tinti, furono una fonte di ricchezza per molti centri italiani, soprattutto durante l’epoca comunale.

Con la scoperta dell’America giunsero in Europa nuove fibre e nuove sostanze coloranti, la più importante fu la cocciniglia, ottenuta dal Dactylopius coccus cacti, originaria del Messico dove gli indigeni la usano per tingere. E’ un insetto con un ciclo vitale breve e vive come parassita sul fico d’India, forando le pale da cui succhia la linfa con il rostro boccale. Si raccolgono le femmine dopo l’accoppiamento, si uccidono gettandole nell’acqua bollente per qualche secondo e poi si essiccano. Nel Messico si possono ottenere fino a sei raccolti l’anno; per fare un chilogrammo di cocciniglia servono 140.000 femmine, che possono essere intere o polverizzate. Da questo insetto si estrae un colore rosso acceso che viene usato nell’industria dolciaria, in quella alimentare e liquoristica e anche per colorare. Il suo potere tintorio non si esaurisce con il primo bagno, ma permette di eseguirne altri successivi dando ogni volta una gradazione più chiara. La cocciniglia in Europa ebbe tale fortuna da essere accettata dagli Spagnoli come pagamento dei tributi.

Nel 1856 Perkin scoprì casualmente il primo colorante chimico, derivato dall’anilina, che chiamò Malvina, e l’uso dei coloranti naturali andò scomparendo. Oggi la sintesi chimica ha ottenuto sostanze coloranti pure e controllate, facili e veloci da usare, sicure nel risultato e poco costose.

COSA SERVE PER TINGERE

 ATTREZZI

Tavolo, stufa, due pentole da 10 litri, due secchi di plastica, setaccio di plastica, telo di garza, bastoncini di legno, bilancia che pesi anche i grammi, contenitori graduati per liquidi, termometro che arrivi a 140°, cucchiai di plastica, bacchette di vetro, barattoli di ferro smaltato o vetro, guanti e grembiule di gomma, forbici, etichette.

  • ACQUA

L’acqua piovana è la più adatta per le tinture, in alternativa si può usare quella distillata, demineralizzata o anche quella potabile

  • MATERIALE COLORANTE

Può essere di origine animale (porpora, Kermes2, cocciniglia) o vegetale, facilmente reperibile.

RACCOLTA, ESSICCAZIONE, CONSERVAZIONE

 2 Kermes: prodotto colorante rosso vivo ricavato per essiccazione dal corpo di una specie di cocciniglie (il Coccus ilicis) e di altri insetti, usato nel passato per tingere tessuti e attualmente per colorare alcuni tipi di liquore, chiamati alchermes.

QUANDO RACCOGLIERE LE ERBE

Durante il giorno, l’ora migliore per il raccolto è il mattino presto, quando la rugiada è evaporata e le piante sono asciutte, ma la temperatura è ancora tiepida.

La scelta della stagione di raccolta dipende molto dalla specie e dalla parte di piante da raccogliere, ma generalmente il periodo giusto va dall’inizio dell’estate in poi.

Le radici, i rizomi e i bulbi si raccolgono in autunno e in inverno, durante il periodo di riposo, prelevandoli da piante che abbiano 2-3 anni.

Le cortecce all’inizio della primavera si staccano con maggiore facilità, raccogliendola da rami di 2- 3 anni che andrebbero potati, in modo da non recare danno alla pianta.

Le foglie vanno raccolte a completo sviluppo, cioè dalla fine della primavera all’inizio dell’autunno.

I fiori vanno raccolti all’apice della fioritura. I frutti vanno raccolti a completa maturazione

I licheni si possono raccogliere tutto il tempo dell’anno, preferibilmente dopo una pioggia.

L’ESSICCAZIONE

Per essiccare le piante con la minima perdita di olii volatili ci vogliono tepore, oscurità e aria pulita. La temperatura ideale sta tra i 21 e i 33° C e non dovrà mai superare i 36°; le erbe si seccano a velocità differenti e bisognerà controllare che non lo facciano troppo in fretta; il periodo di essiccazione varierà da 2-3 giorni a una settimana, a seconda della parte e della specie di pianta.

E’ importante disporre di un ambiente ben arieggiato per disperdere rapidamente l’umidità che evapora dalle piante, e buio, per impedire l’ossidazione del materiale con conseguenti modifiche dell’aroma.

Il materiale raccolto andrà disteso in un unico strato su vassoi o rastrelliere di stecche di legno e coperti con teli velati o retine, quindi disposti in ambienti ben ventilati. Particolarmente adatte sono le cassette di legno da frutta, che possono essere impilate una sull’altra pur consentendo una buona ventilazione tutto intorno.

Un altro metodo di essiccazione consiste nel legare steli, radici o fiori in mazzetti e appenderli a testa in giù a un filo per la biancheria.

Il tempo di essiccazione varia da erba a erba. Le foglie ben essiccate saranno friabili e croccanti e si sbricioleranno facilmente senza però ridursi in polvere. Gli steli si spezzeranno di netto; le radici saranno secche e friabili in tutte le loro parti.

I semi sono un po’ complicati da raccogliere, in quanto la loro maturazione finale avviene molto in fretta, dopodiché cadono; se, battendo leggermente sulla pianta, se ne vede cadere qualche seme, il momento del raccolto è arrivato.

I semi vanno messi ad essiccare in un luogo ventilato, senza calore artificiale. Le capsule seminifere prossime a maturazione possono essere appese entro sacchetti di carta, in modo tale che la maggior parte dei semi cada all’interno del sacchetto al momento della maturazione. I semi dovranno essere completamente secchi prima di essere riposti, e questo può richiedere fino a 2 settimane.

METODI DI ESSICCAZIONE RAPIDA

Alcune erbe possono essere essiccate nel forno, in 3- 6 ore. La temperatura non dovrà comunque superare i 36° e, per le erbe più delicate, come basilico e cerfoglio, dovrà restare attorno ai 30°. Le erbe dovranno essere distese su fogli di carta marrone perforata e la porta del forno rimarrà aperta per fare uscire l’umidità.

Anche i forni a microonde possono essere usati: le specie a foglia piccola, come rosmarino e timo, impiegano circa 1 minuto, mentre quelle a foglia più grande e succosa, come menta e basilico, si essiccano in circa 3 minuti.

CONSERVAZIONE DELLE ERBE ESSICCATE

Tutte le parti vegetali essiccate si possono conservare intere o sminuzzate; esse vanno difese dall’umidità, dalla luce, dall’aria, dagli insetti e dai topi. La conservazione va fatta in sacchetti di carta conservati in luoghi asciutti. I fiori e le foglie, se non si usano subito per tingere, si impiegano per preparare un bagnocolore mediante bollitura in acqua che porta alla formazione di un decotto molto concentrato che poi si filtra e congela

I frutti e le bacche con capacità tintorie si raccolgono a completa maturazione, si usano freschi o si congelano normalmente; non possono essere essiccati perché darebbero colori molto diversi.

LE FIBRE TESSILI

 Le fibre tessili naturali possono essere di origine vegetale, animale o minerale; quelle minerali sono pericolose per la salute dell’uomo.

La canapa fu introdotta in Italia dai popoli barbari e venne coltivata dall’epoca dei Comuni in poi soprattutto nella Valpadana, con la c. venivano preparati abiti, lenzuola, sacchi, funi, reti da pesca.

La ca. si tinge facilmente.

Il cotone era conosciuto nella Valle dell’Indo già 5000 anni fa, da lì si diffuse nel Medio Oriente e fu introdotto in Italia dagli Arabi verso la metà del IX secolo d.C. All’inizio era considerato una fibra di lusso e quindi riservato per alcuni usi; ora può essere filato da solo o con altre fibre naturali o artificiali. E’ impiegato per la maglieria, la biancheria, tendaggi, garze..La raccolta del cotone, costituito da peli aderenti ai semi a cui conferiscono protezione, è costosa perché va fatta manualmente alla completa maturazione del frutto che avviene gradualmente e si protrae anche per 2-3 mesi; i bioccoli vengono separati dai semi e ammassati in magazzini asciutti, aerati e protetti dal sole, che ingiallirebbe le fibre. Il colore varia dal bianco al giallognolo all’azzurrognolo al grigio.

I tessuti di cotone si tingono bene e facilmente.

Altre fibre vegetali: dalla corteccia del gelso nero si può ottenere il gelsolino, una fibra candida e lucente come la seta e altrettanto costosa da produrre

La ginestra odorosa è un arbusto usato come pianta ornamentale, dai rami si estrae una fibra che viene usata grezza per preparare corde, sacchi… e raffinata per stoffe resistenti di colore scuro che con il tempo tende al bianco: troppo costosa.

La juta si usa per sacchi e teli da imballaggio; le fibre più fini sono usate nella preparazione di stoffe per mobili, tendaggi e tappeti.

Il lino richiede una particolare cura nel processo di tintura perché presenta una certa resistenza ad assumere il colore.

Le fibre ottenute dall’ortica si usano per produrre stoffe resistenti, lucenti e morbide.

La lana è di qualità diversa a seconda della zona del corpo da cui viene rasata, la migliore è quella delle spalle. La lana è particolarmente adatta e sensibile a qualsiasi tipo di tintura.

La seta si ottiene dal baco, ucciso mediante essiccamento quando ha raggiunto il completo sviluppo e ha costruito il suo bozzolo; dal bozzolo, messo nell’acqua calda per poter dipanare la bava, si ricavano circa 500-1500 m di seta. La seta è molto adatta a qualsiasi tipo di tintura.

FASI E TECNICHE TINTORIE

 I MORDENTI

Sono sostanze capaci di fissarsi da un lato con la fibra e dall’altro con il colorante, cioè capaci di far fissare a una fibra un colore . Si possono trovare nelle drogherie, nei negozi di materiali coloranti, nelle farmacie o presso i consorzi agrari. Vanno conservati in contenitori ermetici per proteggerli dall’umidità e al riparo dalla luce.

I principali mordenti sono:

l’allume di potassio (allume di rocca) è una polvere bianca, cristallina, non velenosa

aceto da cucina (acido acetico) viene aggiunto al bagnocolore per fissare i colori e dare lucentezza e morbidezza alle fibre; è utile soprattutto con i colori rosa e rossi

acido tannico è una polvere marroncina ricavata da legni, cortecce e galle

bicromato di potassio è una polvere giallo-arancio, cristallina, velenosa; dà al filato un colore giallino

solfato di rame è un sale blu-verde velenoso, usato anche in agricoltura come anticritto gamico; serve per fissare e migliorare i verdi e per ottenere i marroni dai rosa o rossi

solfato di ferro è una polvere verdina, cristallina, velenosa; scurisce i colori, va bene per i verdi, i grigi e i neri, non va usato con la seta

cloruro di stagno è una polvere bianca, molto indicato per la lana e per le fibre vegetali escluso il lino. E’ indicato per i colori rossi e rosa

ALTRE SOSTANZE UTILI

 Cremortartaro è una polvere bianca gessosa che si unisce ai mordenti per impedire un eccessivo indurimento delle fibre e per migliorare l’assorbimento del colore.

Acido ossalico è una polvere bianca cristallina, si usa come rinforzante del mordente nei bagni delle tinture in rosso.

Ammoniaca si aggiunge all’acqua del bagnocolore per favorire l’estrazione dei pigmenti dai vegetali.

IL LAVAGGIO

 Qualsiasi filato prima di essere tinto va lavato per eliminare residui o scorie.

Il lavaggio per le fibre animali va fatto immergendo per mezzora la matassa in acqua saponata, già fatta bollire, mantenuta a 50°; la matassa va poi risciacquata molto bene sempre con acqua a 50°, quindi strizzata delicatamente o fatta centrifugare; si tingono ancora umide.

Le fibre vegetali vanno immerse in acqua saponata e fatte bollire per un’ora a fuoco lento, quindi lasciate raffreddare; si risciacqua con acqua fredda.

LA MORDENZATURA

La mordenzatura consiste in una sobbollitura dei filati o dei tessuti in acqua in cui sono stati sciolti i mordenti. Può essere fatta prima o durante il processo di tintura, in modo diverso a seconda del tipo di fibra.

IL PROCESSO DI TINTURA

IL BAGNOCOLORE

E’ la soluzione contenente la sostanza colorante di natura vegetale o animale estratta mediante decozione dalla pianta e dall’animale tintorio. Il bagnocolore si prepara facendo macerare per 12 ore il vegetale fresco o secco, finemente tritato, in 4 litri d’acqua e un cucchiaio di ammoniaca. Passato questo tempo si pone tutto sul fuoco, si fa bollire per 1 ora, quindi si spegne il fuoco, si fa raffreddare e si filtra. Si aggiunge al decotto così ottenuto tanta acqua fino a riportarlo a 4 litri, si intiepidisce e poi si immergono 100g di filato o tessuto dando inizio alla tintura.

METODI DI TINTURA

TINTURA DIRETTA Non richiede l’uso dei mordenti, ma con alcuni vegetali si ottengono colori deboli e poco resistenti. Si pongono in 4 litri di bagnocolore 100g di filato o di tessuto inumidito con acqua, si riscalda il tutto lentamente e poi si fa bollire 1 ora continuando a mescolare dal basso verso l’alto. Finita la bollitura, il filato o il tessuto può essere tolto subito e risciacquato con acqua bollente o lasciato raffreddare nel liquido colorante e sciacquato con acqua fresca. Poi converrà fare un lavaggio con sapone in scaglie per togliere l’eccesso di colore e poi sciacquare di nuovo, spremendo senza torcere. Si fa quindi asciugare in luogo fresco e aerato.

TINTURA A BAGNO UNICO Al bagnocolore preparato nel solito modo e riscaldato a 40° si aggiunge la quantità adatta di mordente, si immerge il filato inumidito, si porta piano a bollore e si fa bollire per 1 ora.Si scola, si risciacqua, si lava, si sciacqua di nuovo e si fa asciugare in luogo fresco e aerato.

TINTURA DEL FILATO MORDENZATO Nel bagnocolore si immerge il filato o tessuto già mordenzato e si porta a bollore per 1 ora, mescolando continuamente. Si estrae dal bagno o si lascia raffreddare nel bagno, si risciacqua, si lava si sciacqua e si mette ad asciugare. Se il bagnocolore non è esaurito si può usare ancora 1-2 volte ottenendo un colore sempre più tenue.

POSSIBILI ATTIVITA’ DI STAMPA NATURALE CON I BAMBINI

  • Stampa con sugo di fragole

Prendere delle fragole (1kg serve a stampare circa 40 cm di stoffa). Lavare, frullare e aggiungere un cucchiaino di sale

Prendere il tessuto precedentemente tinto e ancora umido. Riempire con il frullato una siringa senza ago e spruzzare il colore in modo da creare delle striature.

Lasciare riposare per almeno un’ora, poi rimuovere con acqua calda

  • Stampa con timbri vegetali

Si possono usare diversi tipi di frutta e verdura: funghi, ravanelli, limoni, cavolfiori…

E’ sufficiente dividere il frutto a metà con un taglio netto in modo che la superficie risulti piana. Asciugare bene con la carta da cucina la superficie tagliata.

Stendere il colore con un pennello sulla superficie asciutta da stampare e timbrare sulla carta disposta su fogli di giornale o su un canovaccio ripiegato, che faranno da cuscinetto e quindi risulteranno più evidenti i particolari di frutta e verdura. Se si vuole stampare su stoffa usare i colori appositi, altrimenti vanno bene quelli a tempera.

Per timbrare è molto adatta la patata, perché si può facilmente incidere e quindi ricavare timbri particolari in rilievo

  • Stampa con sale da cucina

Tingere un tessuto con qualsiasi colore

Stendere il tessuto ancora bagnato in posizione orizzontale e eliminare le grinze.

Prendere il sale e cospargerlo sul tessuto nel modo preferito, lasciandolo riposare qualche ora. Quando il sale avrà assorbito il colore, rimuoverlo. Poi lasciare asciugare il tessuto. Dove c’era il sale resteranno delle macchie di colore più chiaro.

SCHEDE DELLE PIANTE 

ALLORO (Laurus nobilis- Lauraceae)

La pianta ha un’origine mitica: Apollo amava senza successo una ninfa di nome Dafne. Un giorno la ninfa, inseguita per i boschi, chiese aiuto alla madre Terra, che la trasformò in un albero d’alloro. Da quel giorno non solo i Greci chiamarono Dafne quell’albero, ma Apollo lo dichiarò sacro, concedendo i suoi rami solo a chi si era coperto di gloria nella poesia, nell’arte e nei giochi ginnici. Di alloro erano incoronate tutte le statue raffiguranti il dio Esculapio; era credenza popolare che l’alloro preservasse dai colpi di fulmine e per tale ragione l’imperatore Tiberio si cingeva sempre la fronte con corone di alloro.

Cucina: le foglie si usano come aromatizzanti per carni, pesce…Servono anche a mascherare gli odori forti di alcuni cibi; si usa porre nei barattoli di cibi freschi, ma deperibili, alcune foglie di alloro per evitare formazione di muffe.

Medicina: alle essenze contenute nell’a. si attribuiscono proprietà stimolanti la secrezione gastrica, nonché virtù antinfluenzali allorché somministrate sotto forma di infuso, oppure poste in acqua bollente per suffumigi contro tutte le forme infiammatorie delle vie respiratorie.

Casa: come deodorante e insetticida casalingo; il legno è usato nei lavori di intarsio

 

ANGELICA (Angelica silvestris – Umbelliferae)

 

Originaria dell’Europa settentrionale, veniva probabilmente usata in occasione delle festività pagane e si riteneva proteggesse dalle pratiche di stregoneria. Dopo l’avvento del Cristianesimo, assunse il nome che le conosciamo perché fioriva attorno all’8 maggio, festa di San Michele Arcangelo

Cucina: foglie e steli giovani possono essere mangiati crudi in insalata o cotti come gli spinaci; hanno sapore gradevole e aroma ben tollerato. Le sommità fiorite trovano applicazione nell’industria dolciaria e liquoristica; i semi vengono usati per aromatizzare bevande quali vermouth e gin.

Medicina: era usatissima nella medicina ufficiale (tanto da essere classificata come pianta officinale)3 e in quella empirica per le sue virtù concentrate nella radice, ricca di sostanze mucillaginose ed essenze dotate di azione stomachica, carminativa4 e anticatarrale, quindi usata nella cura di varie disfunzioni digestive e come espettorante. Foglie e fiori sono sempre stati usati in infusione come depurativi

Tintura: nell’ebollizione delle foglie di a. l’acqua assume una colorazione gialla, che in alcuni luoghi veniva usata per tingere i tessuti.

BASILICO (Ocimum basilicum – Labiatae)

Emana un acuto profumo, come dice il suo stesso nome: ocimum è infatti la traduzione latina del greco ozein, che significa “mandare odore”. E’ considerata originaria dall’Asia Minore o dall’Africa. In India era considerato sacro dagli Indù e usato per disinfettare le case dove c’era la malaria.

 Pianta officinale: dal latino officina:laboratorio farmaceutico, indicava un tempo che l’uso della pianta era riservato ai medici e che la si poteva vendere nelle farmacie

Carminativo: sostanza capace di assorbire o espellere i gas intestinali

Cucina: il b. impartisce un sapore particolare piccante e gradevole a molti cibi, rendendoli anche più digeribili.

Medicina: contiene alcune sostanze che hanno la proprietà di stimolare la secrezione gastro- intestinale e sono pure utili per sedare i crampi dello stomaco ed eliminare i catarri intestinali.

Foglie e fiori essiccate e ben polverizzate venivano fiutate come il tabacco perché avevano fama di sedare i dolori di testa e risolvere nevrosi dovute a isterismo; attualmente questa polvere di b. si aggiunge al tabacco da fiuto per aromatizzarlo. Tutta la pianta, ma soprattutto foglie e fiori, è ricca di un’essenza costituita da una mescolanza di cineolo, linaiolo, canfora e molti altri prodotti secondari.

Cosmesi: si usava la pianta per preparare pomate con grassi vari o burro e b. polverizzato, da spalmare sulle guance per rendere lucida la pelle: tale usanza è ancora comune nel centro dell’Africa, soprattutto tra le donne abissine.

Casa: allontana le mosche; un tempo veniva sparso negli ambienti in casa, quindi probabilmente combatte anche i pidocchi.

BORRAGINE (Borrago officinalis – Borraginaceae)

Il nome volgare “borrana” o borragine e il nome classico latino è di incerta origine: i più lo fanno derivare da borrà, che significa ricco di peli. Plinio chiamò questa pianta “euphrosinum” perché si riteneva che portasse gioia e felicità; Greci e Romani la consideravano una pianta in grado di infondere coraggio.

Cucina: la foglia, che con il tempo diventa più scura e consistente, viene raccolta finchè è tenera, mangiata in insalata o cotta come gli spinaci, ai quali può sostituirsi per la ricchezza di calcio e potassio.

Medicina: soprattutto nelle foglie sono presenti piccole quantità di sostanze amare e di sali potassici, per cui ha azione diuretica e colagoga5. In infusione le foglie curano la tosse.

Cosmesi: i preparati a base di foglie servono ad ammorbidire e pulire la pelle. Periodo: primavera

CAMOMILLA (Chamaemelum nobile – Compositae)

La vera c. è gradevolmente aromatica e con caratteristico odore di mela e ciò spiega il suo nome di derivazione ellenica; i Greci la chiamavano infatti “mela di terra” da kamai:a terra e melon:mela.

Cucina: con questa pianta si aromatizza lo sherry spagnolo Manzinilla (piccola mela)

Medicina: con i fiori secchi si fa una tisana contro flatulenza, dispepsia e altri disturbi dello stomaco, è un blando sedativo e un buon tonico stimolante dell’appetito

Cosmesi: i fiori secchi servono a schiarire i capelli biondi, detergente, emolliente Casa: prevenzione delle malattie delle piante causate da funghi

Tintura: si usa per fare una tintura arancio o verde-bruno

FINOCCHIO (Foenicolum vulgare – Umbilliferae)

Le prime notizie risalgono ad un papiro egizio di 1500 anni prima di Cristo; Plinio il Vecchio la cita più volte come pianta officinale, capace anche di rafforzare la vista. Nel medioevo si credeva avesse proprietà magiche.

Cucina: i getti primaverili sono usati per minestre, le foglie basali primaverili vengono mangiate crude con olio e sale.

 Colagogo: che provoca l’espulsione della bile

Medicina: la medicina empirica gli attribuisce poteri di stomachico e diuretico e la stessa medicina ufficiale usava la parte verde per infusioni a scopo diuretico. I semi masticati eliminano il senso di fame, sicchè sembrerebbe anche un eccellente coadiuvante nelle diete dimagranti.

Cosmesi: tutta la pianta, ma specialmente i semi (prodotti in autunno) sono ricchi di essenza (olio di finocchio) che viene raccolto per uso farmaceutico e profumiero. Decotti di foglie sono utili per gli occhi affaticati; infusione di foglie per le palpebre infiammate e impacchi per ammorbidire la pelle del viso.

CERFOGLIO (Anthriscus cerefolium- Umbilliferae)

Benché molti ne attribuiscano la provenienza dalla Russia, il nome è di origine greca e significa “fiore di siepe”: ciò perché il tipo selvatico in primavera, con i suoi piccoli e numerosi fiorellini bianchi, spesso ammanta cespugli e siepi.

Cucina: le foglie appena raccolte e ben tagliuzzate vengono aggiunte, in modeste proporzioni, alle minestre, alle salse e alle carni per impartire loro un aroma amarognolo, gustoso e gradevole nonché utile a favorire la digestione. La specie selvatica non deve essere usata in quanto tossica.

Medicina: tutte le parti verdi della pianta (soprattutto le foglie) contengono una sostanza amara denominata apiina, assai volatile e di sapore simile a quella contenuta nel prezzemolo. In passato il

  1. veniva usato sotto forma di infuso, decorazioni, pillole per aumentare la secrezione gastrica e la funzionalità digestiva, nonché nelle disfunzioni uro-genitali.

Cosmesi: con le foglie fresche si fa un infuso detergente per la pelle.

DRAGONCELLO (Artemisia dracunculus – Compositae)

Conosciuta pure col nome di estragone, era nota già nell’antica Grecia perché proveniente dall’Asia Minore. Il nome è di origine greca, poiché artemisia deriva dal sostantivo artemes che significa sano e sta ad indicare le sue proprietà salutari; dracunculus è il termine latino per “piccolo drago”: questa associazione si deve alla credenza che la pianta potesse guarire dai morsi dei serpenti e di altre creature velenose.

Cucina: in Francia si usa per preparare un buon aceto: si mette in bottiglia un buon numero di foglie di d. appena raccolte e si versa sopra aceto di vino bianco, lasciandolo a macerare per un paio di mesi e poi si filtra. La cucina francese fa molto uso di questa erba, ben pestata, anche per aromatizzare carni e salse. Le foglioline raccolte prima della fioritura possono essere aggiunte con la massima moderazione a insalate crude o cotte. Tutta la pianta emana un odore gradevole che ricorda quello del sedano e del finocchio; masticata, lascia sulla lingua per un certo tempo un senso di leggero pizzicore e di formicolio.

Medicina. Tutte le parti aeree contengono una sostanza denominata estrapolo capace di esercitare forte azione stimolante nella secrezione gastrica, nonché una leggerissima azione lassativa. Un tempo la radice era usata contro il mal di denti.

ERBA CIPOLLINA (Allium schoenoprasum – Liliaceae)

Il nome latino allium, già noto presso i Romani, deriva dal celtico all che significa bruciante, riferito sia al sapore che all’odore, in quanto provoca irritazione alla mucosa oculare e lacrimazione. Cucina: gli steli raccolti in piccoli fasci vengono tagliuzzati finemente e aggiunti alle minestre, alle salse, alle insalate.

Medicina: gli steli contengono numerose essenze solforate che ricordano il sapore della cipolla e l’odore della senape. Si usa per la cura di disturbi vescicali e nella calcolosi renale; si è constatata la presenza di alcune vitamine e di alcuni fermenti ai quali viene attribuita la particolare virtù digestiva.

Casa: si dice prevenga la rogna delle mele.

FINOCCHIETTA (Ligusticum lucidum – Umbellifereae)

Secondo Dioscoride, uno dei fondatori della botanica medicinale ancora prima di Cristo, il nome

ligusticum indica la provenienza regionale della pianta, ossia della Liguria.

Cucina: le foglie si usano per conferire alle insalate cotte o crude un delicato aroma di anice o di finocchio, del quale ricorda anche il profumo. Poche foglie possono mascherare anche i sapori di alcuni cibi poco tollerati da organismi delicati, quali aglio e cipolla.

Medicina: le essenze contenute nella pianta sono volatili, e hanno proprietà digestive, in quanto attivano i succhi e i fermenti gastrici e rendono più digeribili gli alimenti.

GATTARIA (Nepeta cataria – Labiatae)

Originaria dell’Asia e dell’Europa, viene chiamata anche erba gatta in quanto il fogliame, dall’aspetto un po’ ammaccato e dall’odore che richiama la menta, induce i gatti a rotolarsi sopra la pianta fino a distruggerla.

Cucina: le foglie fresche si usano con moderazione per insaporire le salse Medicina: le sommità fiorite curano il raffreddore, il catarro, la bronchite Cosmesi: per la cura dei capelli, ne stimola la crescita

Casa: tiene lontani i topi

MAGGIORANA (Origanum majorana – Labiatae)

Proviene dall’Asia Occidentale ed è stata per questo chiamata anche “persia o erba persa”; in Grecia veniva intrecciata nelle corone portate dagli sposi il giorno del matrimonio.

Cucina: le parti aeree vengono raccolte in piena fioritura per essere essiccate e polverizzate. Di gusto simile all’origano, si usa per aromatizzare molti cibi in particolare la pizza. Si usa anche in arrosti e salse ai quali conferisce profumo e sapore delicato, oltre a rendere più digeribili i grassi.

Medicina: questa pianta contiene numerose essenze di odore gradevole ma di sapore molto amaro: tutte insieme costituiscono l’olio di maggiorana, contenente terpeni e derivati dalla canfora. Ben nota da tempi molto lontani, ha sempre goduto fama di eccitante cerebrale prima, e narcotico poi, tanto da essere usato per combattere sia la cefalea che ogni forma di confusione psichica. E’ ancora usata in medicina in alcune preparazioni farmaceutiche a carattere calmante, ma molto di più nell’industria liquoristica e cosmetologia.

Cosmesi: per fare saponi profumati

Casa: tiene lontano gli insetti; si può mettere nei cuscinetti d’erbe

MELISSA (Melissa officinalis – Labiatae)

Non è accertato che il nome derivi dal greco per ricordare alcune ninfe greche di nome Melisse, una delle quali nutrì Giove con miele e latte di capra; è più verosimile che il nome derivi dalle api, che in greco si chiamavano melissai, le quali si avventano sui fiori di cui sono ghiotte.

Vive dovunque, dalla primavera all’autunno inoltrato, ha un gradevole odore di cedro e limone ed è nota anche come cedronella, erba cedrina o erba Luigia.

Cucina: si usano le foglie e i getti giovani per aromatizzare insalate, pesci e per impartire ai vini bianchi e ad alcuni liquori il tipico sapore e aroma cedrino. Si può usare come sostituto della scorza di limone grattugiata.

Medicina: fiori e foglie sono ricchi di essenze con profumo penetrante e sapore aromatico, che hanno un’ottima azione antispasmodica e antinevritica sugli organismi degli animali e ancor più sull’uomo. In passato era obbligatoria l’essenza di melissa in tutte le farmacie perchè prescritta tra i prodotti officinali. L’uso dell’acqua di m. o dello spirito di m. era insostituibile per calmare i dolori di qualsiasi natura. Le foglie calmano i nervi e inducono il sonno, inoltre riducono il dolore delle punture di insetti.

Cosmesi: nel teatro francese di fine ottocento era protagonista degli svenimenti delle dame, che venivano subito soccorse da una boccetta di eau de mélisse. Le foglie vengono usate per profumare i saponi e come astringente per la pelle.

Casa: nelle cere per i mobili, come deodorante anche nei potpourris, per profumare la biancheria durante il lavaggio.

MENTA (Menta piperita – Labiatae)

Di origine antichissima, era ben conosciuta da Greci e Romani; secondo la mitologia, Minta (o Menta) bellissima figlia del dio Cocito, divinità fluviale, era amante di Dite, dio dell’Oltretomba. Persefone folle di gelosia, tramutò Minta in una piantina, facendola crescere presso le rive dei fiumi; il padre Cocito disperato ottenne da Giove che l’umile piantina perpetuasse il ricordo della fanciulla emanando un delicato e fresco profumo.

A questo mito va poi aggiunto il significato astrologico che la pianta assunse nel medio evo, in quanto la menta era posta sotto il dominio di Venere e quindi possedeva virtù afrodisiache.

Cucina: le foglie sono usate come aromatizzanti e correttive di sapori forti di qualche ortaggio. Medicina: contiene numerose essenze dalle quali si ricava una sostanza cristallina denominata mentolo; l’essenza è usatissima e compare in molti preparati. Le applicazioni più comuni sono per la terapia anestetica, delle vie respiratorie e digestiva

Cosmesi: è usata nella preparazione di profumi; le foglie fresche guariscono le macchie della pelle; si usano nel bagno e per aromatizzare le paste dentifricie.

ORIGANO (Origanum volgare – Labiatae)

E’ sempre stata ingrediente della cucina egiziana, fenicia e greca; questo popolo ne faceva largo uso, mettendolo anche nel vino. L’alta considerazione di cui godeva si ritrova anche nel nome, che potrebbe significare “splendore del monte” da oros:monte + ganos:splendore.

Cucina: le foglie secche ben polverizzate si usano come aromatizzante

Medicina: tutte le parti aeree contengono un pregiato olio composto da numerose essenze volatili e sostanze tanniche. In passato si usava l’infusione delle foglie per combattere disfunzioni intestinali e biliari, e anche l’essenza ottenuta per distillazione quale componente degli unguenti ad azione revulsiva e antireumatica.

PREZZEMOLO (Petroselinum sativum – Umbelliferae)

Dioscoride parla diffusamente di questa pianta, il cui nome significa “sedano delle rocce” (da selinon: sedano); ne ha sempre fatto uso il mondo antico non solo in cucina, ma anche per decorazione onorifica: con i suoi rami si intrecciavano fronde da portare sulla testa dei poeti o degli eroi. Più tardi si fecero pure corone funerarie ed era venuto di moda il detto “ha bisogno di prezzemolo” per indicare che una persona stava per morire. La città sicula di Selinunte trae il suo nome da selinon, perché le balze rocciose che l’attorniavano erano cariche di questa pianta. Nella tarda classicità si credeva che il p. (selinon) fosse molto caro alla Luna (Selene) e che si dovesse piantare in fase di luna crescente.

Cucina: si usa per cospargere varie pietanze. Quantità elevate possono però provocare nausea, vertigini, ronzio. Nella raccolta del p. selvatico, attenzione a non confonderlo con la velenosissima cicuta, alla quale assomiglia molto.

 Revulsivo: prodotto capace di arrossare la pelle richiamando sangue alla superficie provocando calore

Medicina: tutta la pianta è ricca di olio etereo che ricorda la canfora. In passato tutte le farmacopee prendevano in considerazione la pianta per preparare l’acqua di p. indicata come carminativa, diuretica e sedativa. Godeva pure di capacità emmenagoghe7 e vermifughe.

Cosmesi: per prevenire la couperose; si dice che elimina le lentiggini

Tintura. Produce un color crema o varie tonalità di verde, a seconda del mordente usato.

ROSMARINO (Rosmarinus officinalis – Labiatae)

Il suo nome significa “rugiada di mare”, poetica allusione all’ambiente in cui di preferenza vive allo stato selvatico. I Greci lo usavano come incenso bruciandolo in onore degli dei per propiziare l’immortalità futura: per questo motivo è stata considerata nell’antichità pianta benefica e beneaugurale, e lo è anche per noi cristiani grazie ad una leggenda che lo consacra a Gesù Bambino. Gli Andalusi infatti raccontano che il giorno di Natale la Madonna stese i primi panni del Figlio sopra un cespuglio di rosmarino che si trovava di fronte alla capanna; la pianta si impregnò talmente degli umori del Cristo che il giorno della passione fiorì annunciando la prossima resurrezione e continua a fiorire ogni anno. La notte di natale gli andalusi amano decorarne la casa con tanti rametti perché il loro profumo accompagni la nascita del Cristo e sia propizio per il nuovo anno. Conosciuto nel Medio Oriente, dove era impiegata anche in riti propiziatori, ebbe largo uso nel mondo arabo; sin dall’età classica è stato associato all’intelligenza e alla buona memoria.

Il suo aspetto sempreverde l’aveva eletto pianta della fedeltà coniugale

Cucina: le foglie fresche o essiccate si usano per aromatizzare ogni tipo di carne e il pesce. Medicina: le foglie e l’olio sono antisettiche, toniche, diuretiche e contro le nevralgie. Valido rimedio per l’affaticamento, l’astenia, la depressione, l’impotenza, la frigidità

Cosmesi: si usa nello shampoo per rinforzare il colore dei capelli scuri, e per fare lozioni astringenti. L’olio si adopera in profumeria e nella preparazione di insetticidi. Il bagno con il decotto di r. ha proprietà stimolanti, che possono diventare afrodisiache se vi si aggiunge un infuso confezionato con una manciata di salvia e di menta

Casa: tiene lontani gli insetti, deodora gli ambienti, la biancheria e gli abiti.

RUCOLA ( Eruca sativa – Cruciferae) E’ detta anche rughetta

Cucina: si usa in insalate, intingoli e sughi; aggiunta alla grappa dà una colorazione verde e riduce il sapore bruciante dell’alcool

Medicina: in passato era impiegata per combattere lo scorbuto, per accelerare la digestione, stimolare le vie biliari e come decongestionante.

RUTA ( Ruta graveolens – Rutaceae)

Il suo nome deriva dal greco reuo:liberare e questo perché si riteneva liberasse l’uomo da un gran numero di malanni; era prescritta dai Greci per migliorare la vista.

Cucina: le foglie si usano con parsimonia per aromatizzare insalate; un ramoscello colto prima della fioritura e messo nella grappa dà un sapore aromatico.

Medicina: va usata con grande cautela perché può provocare seri disturbi. Viene usata tradizionalmente contro l’epilessia e come abortivo.

Casa: potente repellente contro pulci e altri insetti, viene bruciata come deodorante ambientale.

SALVIA (Salvia officinalis – Labiatae)

 Emmenagogo: sostanza capace di favorire il flusso mestruale

Il suo uso in Europa risale a parecchi secoli prima di Cristo; il suo nome sembra derivare dal latino salvare, ad indicare le sue virtù benefiche (i Romani la chiamavano Salvia sanatrix). Secondo una leggenda medievale, fu benedetta dalla Madonna perché nascose tra i suoi cespugli la Sacra Famiglia che fuggiva verso l’Egitto, inseguita dai soldati di Erode.

Cucina: per aromatizzare carni e pesci grassi, che rende più digeribili

Medicina: si usano le foglie e l’olio essenziale, ha effetto astringente e antisettico, è efficace contro il mal di gola e le ulcere del cavo orale

Cosmesi: scurisce e migliora in genere il colore dei capelli e ne stimola la crescita; sbianca i denti e rinforza le gengive; è astringente e deodorante e si usa nel bagno e nell’acqua per lavarsi; tonifica e rivitalizza la pelle

Casa: da spargere negli ambienti; una volta i fiori si usavano per colorire i cibi; negli armadi protegge gli abiti dalle tarme

SANTOREGGIA ( Satureja hortensis – Labiatae)

L’effetto stimolante della s. giustifica la sua reputazione di afrodisiaco; si ritiene infatti che il suo nome derivi da satiro.

Cucina: le foglie si usano con i legumi, le carni. L’essenza ricavata per distillazione è usata nell’industria liquoristica.

Medicina. Le foglie e le sommità fiorite essiccate hanno proprietà toniche, digestive, antisettiche; si dice che vincano all’istante il dolore per le punture d’insetti

Casa: deodora gli ambienti

TIMO (Thymus vulgaris – Labiatae)

Il nome greco deriva dal verbo thyein:profumare; infatti ha un odore acuto.

Cucina: per aromatizzare ; il timolo contenuto in tutta la pianta ha proprietà antifermentativa e antiputrida, perciò qualche fogliolina aggiunta ai cibi non consumati evita possibili decomposizioni. Medicina: fortemente antisettico, efficace nei disturbi dell’apparato respiratorio e dell’intestino, come gargarismo e collutorio; l’olio è vermifugo, aiuta la digestione e stimola l’appetito.

Cosmesi: come deodorante, contro brufoli, punti neri e simili, nei dentifrici

Casa: bruciato, pulisce e profuma l’ambiente; nelle candele e nel tabacco da fiuto; nella biancheria

EDERA (Hedera helix – Araliaceae)

Il mito narra che l’edera comparve proprio dopo la nascita di Diòniso per proteggere il bambino dalle fiamme che bruciavano il corpo materno : avrebbe avvolto tutta la casa della madre attenuando le scosse di terremoto che avevano accompagnato l’ira di Zeus. Un’altra leggenda narra che un giorno Diòniso, abbandonato dalla madre Semele, si fosse rifugiato sotto la pianta di Edera che gli diede il nome (Diòniso veniva chiamato anche kissos, nome greco della pianta). Altro mito greco riferisce Kissos era figlio di Diòniso e che morì all’improvviso mentre danzava davanti al padre. La dea Gea, ovvero la terra, impietosita, lo mutò nell’edera che da allora portò il suo nome.Diòniso: divinità di origine incerta, ma con molta probabilità attribuibile alla Grecia. La sua entità divina si esprimeva in due aspetti contrastanti, nella gioia benevola e chiassosa delle feste e nel furore distruttivo. Figlio di Zeus e della mortale Semele, secondo la tradizione più diffusa sarebbe stato assunto al rango di dio soltanto dopo aver meravigliosamente operato tra gli uomini circondato da una schiera di ninfe, satiri e sileni. Diòniso era il dio protettore delle viti e simbolo della naturale vicenda della vegetazione che muore e rinasce ogni anno.

Medicina: l’edera è una pianta molto efficace per calmare le tossi stizzose, per dilatare i bronchi e per l’eliminazione dei catarri bronchiali. Questa proprietà è dovuta alla presenza di saponine, che tuttavia hanno un certo grado di tossicità e rendono sconsigliabile avvalersi di questa pianta mediante preparazioni fatte in casa poiché un errore di dosaggio potrebbe produrre seri inconvenienti. L’edera esercita invece un’azione sicura e senza inconvenienti per l’uso esterno. I decotti e gli infusi di foglie di edera esercitano una reale azione anestetica e antinevralgica nelle nevriti, nei dolori reumatici, nella sciatica e nell’artrite. Sono state inoltre provate benefiche proprietà anche nelle celluliti, dove l’azione anestetica permette un massaggio profondo, e l’azione astringente e vasocostrittrice favorisce il riassorbimento dei liquidi che impregnano i tessuti. I frutti dell’edera sono invece velenosissimi.

Tintura: foglie raccolte in qualsiasi periodo e frutti maturi in marzo-aprile; le foglie con Al danno il giallo, i frutti da soli rosso pallido, con Cr, Al o Fe varie sfumature di verde; colori abbastanza solidi

GAROFANO (Dianthus caryophyllus – Caryophyllaceae)

Il nome deriva dall’arabo quaranful:chiodo di garofano; infatti proprio il suo profumo intenso e dolce di chiodi di garofano lo ha reso popolare in cucina e in profumeria da più di 2000 anni. Nel I sec . d. C. Plinio scrisse che il g. era stato scoperto il secolo precedente in Spagna dove era usato per aromatizzare delle bevande; nel Medioevo veniva mescolato al vino e alla birra come sostituto dei costosissimi chiodi di g. provenienti dall’Oriente.

Cucina: con i fiori freschi si profumano marmellate, sciroppi, salse…e si guarniscono minestre e insalate

Medicina: poco usato, un tempo si usava per mascherare il cattivo sapore delle medicine Cosmesi: nelle acque di colonia fatte in casa.

LAVANDA (Lavandula officinalis – Labiatae)

La lavanda era usata da tutti i popoli del Mediterraneo per esigenze domestiche e cosmetiche; molto probabilmente era una delle numerose piante portate in Gran Bretagna dai soldati romani per ricordare ai legionari il calore e il clima asciutto di casa loro.

Cucina: di solito non è usata, ma si può utilizzare nelle gelatine oppure come glassa sui biscotti o con carni molto saporite.

Medicina: si usano i fiori secchi e l’olio essenziale come antisettici e ricostituenti, contro distorsioni e dolori reumatici

Cosmesi: nell’acqua per lavarsi e nel bagno; come astringente per la pelle; nei profumi; per risciacquare i capelli

Casa: contro le punture di insetti e per tenerli lontani; nelle creme per mobili

ROSA CANINA (Rosa canica – Rosacee)

Cucina: con i petali si può preparare un liquore; con i frutti si prepara la marmellata

Medicina: i petali hanno proprietà astringenti, toniche e antidiarroiche; il succo ricavato dalla spremitura dei petali può essere usato come collirio; i falsi frutti ( quelli veri sono all’interno) contengono vitamina C e altre che li rendono preziosi contro lo scorbuto e nei casi di avitaminosi.

TAGETE (Tagetes papula – Compositae)

Il nome deriva da Tages o Tagus, dio etrusco nipote di Giove, fondatore dell’arte divinatoria in Etruria: il fiore è simbolo della divinazione. In Italia nell’Ottocento il t. è stato chiamato puzzola in

riferimento all’odore che tutta la pianta emana; spiacevolissimo è il suo odore se macera nell’acqua o si decompone, tanto da essere chiamato anche fior di morto.

Tintura: i fiori maturi sono usati per tingere e anche le radici essiccate danno un eccellente colore; con lana non mordenzata dà un giallo pallido, con allume un giallo dorato; i colori sono resistenti ma tendono a scurire col tempo.

BARDANA (Arctium lappa – Compositae)

Cucina: i piccioli sono mangiati lessi e conditi a guisa di asparagi oppure fritti. La radice, che deve essere divelta senza romperla da piante giovani, va cotta a lungo e poi condita con olio corposo: è un piatto nutriente e sano. Anche le foglie più giovani possono essere consumate in insalata.

Medicina: contiene tannino, mucillagine, sali potassici e calcio. Conosciutissima fin da epoca remota è molto usata nella medicina naturale come efficace depurativa, dermopatica, diuretica, vulneraria; viene spesso anche coltivata per la raccolta delle radici.

DENTE DI LEONE (Leontodon hispidus – Compositae)

Con questo nome vengono indicate molte piante diverse ma simili per la forma irregolare delle foglie. Questa ha i denti grossi e disposti regolarmente su entrambi i margini e si differenzia dal tarassaco anche per l’estremità a forma acuminata. E’ abbastanza diffusa nei prati e nei pascoli di pianura e collina.

Cucina: le foglie raccolte prima della fioritura possono essere mangiate crude o cotte

Medicina: si usa per le proprietà depurative e diuretiche, dovute ad una sostanza amara gradevole e ben tollerata anche ad uso prolungato. E’ consigliata la cura primaverile per depurare dalle scorie accumulate durante l’inverno.

Periodo: primavera

MILLEFOGLIE (Achillea millefolium – Compositae)

Il suo nome pare derivi da quello dell’eroe greco Achille, che l’avrebbe usata per curare le ferite dei suoi soldati durante la guerra di Troia.; non a caso un tempo era chiamata Herba militaris

Cucina: le foglie fresche si usano nell’insalata

Medicina: le foglie fresche, applicate sulle ferite, pare abbiano proprietà astringenti e sanatorie; le foglie, gli steli e i fiori essiccati si usano contro la dissenteria. Attenzione: assunto in grandi dosi causa mal di testa e costipazione

Cosmesi: in decotto contro la calvizie¸astringente per pelli grasse Casa: attivatore naturale delle concimaie e buon fertilizzante

ORTICA (Urtica dioica – Urticaceae)

In tutte le tradizioni popolari l’ortica ha un significato propizio. Un tempo nelle campagne di Novogord, in Russia, durante la veglia di San Giovanni, notte “solstiziale”, i ragazzi saltavano sopra le ortiche così come latrove si saltava sopra i fuochi. Nel Canavese, in Piemonte, i contadini sostengono che portando dell’ortica su di sé ci si poteva preservare da ogni maleficio. L’ortica è anche una pianta che protegge dai fulmini: in Tirolo, quando scoppia un temporale, si gettano delle

ortiche nel focolare per allontanare ogni pericolo, ma soprattutto il fulmine perché, secondo una credenza diffusa in tutta l’Europa centrale, il fulmine non colpirebbe mai queste piantine. A Lugnacco, in Piemonte, si faceva la stessa cosa convinti di allontanare le streghe che erano considerate la causa dei temporali.

Il bruciore provocato dal contatto con le foglie di o. è dovuto al fatto che ogni peletto è una spina acuminata e cava, le cui pareti contengono silice, una sostanza che dà loro un aspetto fragile e vetroso; la punta della spina si rompe facilmente e il liquido contenuto all’interno (acido formico) si riversa sull’oggetto che ha causato la rottura.

Cucina: contengono vitamina A e C e ferro, oltre ad altri sali minerali; steli e foglie giovani si usano al posto degli spinaci

Medicina: le foglie sono efficaci contro i reumatismi, per controllare le emorragie interne e in molti problemi dermatologici; l’o. è poi un buon diuretico

Cosmesi: contro la forfora; per tonificare e migliorare la circolazione in infuso o in decotto; il succo d’o. stimola la crescita dei capelli

Casa: con le foglie fresche si ottiene un buon fertilizzante liquido; le foglie tengono lontane le mosche

Tintura: le radici forniscono una tintura grigia, gialla o aranciata a seconda del mordente

PAPAVERO DEI CAMPI (Papaver rhoeas – Papaveravecee)

Cibele (la dea madre) spesso viene rappresentata con un mazzo di frumento e papaveri in mano, perché l’infinito numero dei suoi semi è un richiamo alla fertilità. Il p. entra nella poesia latina come simbolo del sonno; è infatti sacro a Morfeo

Cucina: si mangiano i giovani germogli crudi e ben conditi, in padella, in minestra, in risotti Medicina: dal latice (oppio) si estraggono vari principii attivi, quali morfina, codeina, narcotina..; ha proprietà narcotiche, calmanti e decongestionanti

Tintura: i petali possono essere usati per tingere la lana, ma non danno colori solidi

RANUNCOLO (Ranuncolacee, Ranunculus acer)

Ranunculus significa “piccola rana”, ad indicare l’abitudine del fiore di crescere nei luoghi dove si trovano acque stagnanti.

I ranuncoli, denominati spesso bottoni d’oro, hanno foglie intere o variamente divise, in gran parte radicali, e fiori bianchi o gialli, raramente rosa o rossi, con calice e corolla a tre o cinque o più elementi.

Il frutto è un achenio9 compresso.

Ne esistono circa 250 specie; quello di cui parliamo è il ranunculus acer o ranuncolo dei prati. Una ventina di specie vengono coltivate e sfruttate a scopo ornamentale.

Tutti i ranuncoli contengono succhi acri, tossici per gli animali. Il veleno è sparso in tutte le parti della pianta e consiste in una sostanza acre e fortunatamente volatile, cosicchè i ranuncoli, ridotti a fieno e mescolati alle altre erbe, non presentano pericolo di avvelenamento per il bestiame.

Il ranuncolo era stato chiamato “erba scellerata” da Apuleio10, perché un tempo i mendicanti usavano sfregarsi le foglie sulle gambe, procurandosi piaghe orribili, allo scopo di suscitare

Achenio: frutto secco, con un solo seme, avvolto da un pericarpo coriaceo non aderente (es. l’achenio del castagno è la castagna).

Lucio Apuleio: naturalista latino, soprannominato Platonico, vissuto nel IV secolo, autore di un erbario intitolato Herbarum vires et curationes, sulle proprietà medicinali delle piante.

compassione nei passanti. Il forte potere revulsivo11 del suo succo veniva usato per la preparazione di cataplasmi12 assai energici.

L’avvelenamento per ingestione di parti verdi della pianta è caratterizzato da una violenta gastroenterite; se non si provvede a svuotare meccanicamente lo stomaco, può sopravvenire la morte in 1-2 giorni.

TARASSACO (Tarassacum officinale – Compositae)

Pianta antichissima che sembra far parte delle erbe amare citate nella Bibbia. Il nome di origine greca sta a significare “cura della vista” da taraxia:intorbidimento della vista + akos:rimedio. E’ conosciuto con molti altri nomi: dente di cane per la forma delle foglie; soffione per i frutti leggerissimi; stella piatta per la forma del fiore giallo; cicorietta per il suo uso in cucina. Molti nomi fanno poi riferimento alle sue proprietà diuretiche.

Cucina: le foglie giovani si usano in insalata

Medicina: contiene molta vitamina C e sostanze utili nelle malattie del fegato Casa: le foglie fresche sono un ottimo nutrimento per i conigli

Tintura: con le radici si ottiene una tintura magenta con l’allume, giallo-bruno con il ferro

IPPOCASTANO (Aesculus hippocastanum)

Il suo nome significa “castagna di cavallo” perché in Turchia e poi in Europa si usavano i marroni tritati per dare sollievo ai cavalli asmatici.

Medicina: i principi attivi dell’ippocastano hanno la prerogativa di essere contemporaneamente utili e irritanti sulla pelle e sulle mucose, comprese quelle intestinali. Questa pianta ha la proprietà di restringere il lume dei vasi sanguigni, di tonificarli, normalizzare la permeabilità e rendere normali le pareti alterate e infiammate. È utile quindi per il trattamento delle emorroidi, delle flebiti e delle ulcere varicose, toglie prurito e dolore e favorisce il riassorbimento dei liquidi che ristagnano nei tessuti. La sua azione astringente si esplica anche utilmente sulle affezioni più blande e generalizzate, per esempio sulle estremità gonfie e sui difetti della pelle dovuti alla couperose.

Tutte le azioni descritte si esplicano per uso interno, ma in considerazione della scarsa tollerabilità di alcuni principi attivi è bene utilizzarla solo per uso esterno.

Una curiosità: nel folklore italiano si crede che per combattere i raffreddori bisogna conservare in tasca due semi di ippocastano.

Cosmesi: una pasta preparata con semi di i., farina di mandorle e di avena e olio di oliva è utile per ammorbidire la pelle secca delle mani

Tintura: si usano le capsule spinose del frutto e le foglie, freschi o essiccati

NOCCIOLO (Corylus avellana)

Originario dell’Asia minore, era coltivato già dagli antichi Romani.

La nocciola, ben protetta dal suo guscio, era per i Celti simbolo della saggezza interiore; si diceva che mangiare nocciole procurasse la conoscenza delle arti e delle scienze segrete. I druidi e i bardi

1Revulsivo: che provoca un’irritazione cutanea, con intenso aumento dell’afflusso sanguigno nei tessuti superficiali, per decongestionare e riattivare.

Cataplasma: impasto umido di sostanze vegetali curative, avvolto in una garza o in un panno e applicato sulla pelle nella parte malata, a scopo terapeutico locale (come emolliente, sedativo o revulsivo).

usavano tavolette divinatorie di n. e vi incidevano le lettere magiche; il rametto biforcuto, tipico dei rabdomanti, è da sempre servito come bacchetta magica per scoprire tesori e permetteva di diventare invisibile.

ONTANO (Alnus – Betullacee)

Se immerso nell’acqua diventa incorruttibile, per cui fin dalla più remota antichità è stato usato per fabbricare pali di fondazione e palafitte (vedi Venezia e Ravenna). Un tempo produceva tre tinture: verde dai fiori, bruno dai rami e rosso dalla corteccia, che per gli antichi simboleggiavano l’acqua, la terra e il fuoco che sembrano ricongiungersi nell’albero, perché dà una fiamma viva, quasi senza fumo; la carbonella sviluppa più calore di qualsiasi altra specie e la sua cenere dà la potassa13; i suoi ramoscelli verdi, svuotati, una volta servivano per fare fischietti, testimoniando così l’affinità dell’o. con il quarto elemento, l’aria. Fu considerato un albero della vita dopo la morte.

Fu considerato anche una pianta maledetta, perché appena tagliato il legno si colora di rossiccio, tanto da dare l’impressione di un sanguinamento.

Medicina: l’elevata presenza di tannini lo ha reso prezioso nella medicina popolare per combattere angine, tonsilliti e faringiti, utilizzando la corteccia per un decotto con il quale si fanno gargarismi; se messo su ulcere o piaghe, ha proprietà cicatrizzanti. La corteccia ridotta in polvere e messa a bagno nel vino bianco secco è utile nel caso di febbri intermittenti.

Cosmesi: il decotto si può usare per detergere la pelle del viso

Casa: il legno serviva per opere di tornitura e per confezionare zoccoli di legno.

Tintura: le infiorescenze femminili o gattini danno il giallo con allume di rocca; la corteccia dà il marrone con solfato di rame; la corteccia con allume di rocca e solfato di ferro dà il nero

PRUGNOLO (Prunus spinosa – Rosacee)

Detto anche Spino prugnolo per la spinosità dei suoi rami, o susino selvatico.

Cucina: i frutti asprigni si possono usare per confezionare marmellate e sciroppi rinfrescanti Medicina: ha proprietà astringenti e può essere usato per risciacqui nei casi di infiammazioni alla bocca e alla gola. Da usare con molta attenzione e cautela nelle dosi perché contiene anche sostanze pericolose

ROVO (Rubus fruticosus – Rosacee)

Cresce dovunque e fiorisce nella tarda primavera

Cucina: le foglie vengono usate per preparare un gradevole te; con i frutti si confezionano conserve e succhi profumati

Medicina: proprietà diuretiche, astringenti, antiscorbutiche. Le more svolgono una funzione antidiarroica; consumate come sciroppo o marmellata,apportano all’organismo numerosi principi attivi, mentre il decotto solleva le infiammazioni del cavo orale e allevia la raucedine

Tintura: foglie e frutti

SALICE BIANCO (Salix alba)

Più antica è la parola “vimine” che un tempo designava tutti i salici, prima di venir riservata alla specie di cui si utilizzano i rami flessibili; da vimen:legno flessibile, viene Viminale, così chiamato perché un tempo era stato piantato a salici. Nell’antichità il s. era considerato malefico, essendo votato a Ecate, la dea-luna, ed è rimasto legato agli incantesimi patrocinati dalla dea, come esprime

Potassa: carbonato di potassio, come prodotto industriale per la fabbricazione dei saponi e del vetro, e per produzioni e lavorazioni varie

il nome dell’albero nelle diverse lingue nordiche, specialmente in inglese l’equivalenza willow- witch: non a caso le streghe cavalcano scope con legature di vimini.

Tintura: si usano i rametti giovani per ottenere diverse tonalità di giallo e di verde

SAMBUCO (Sambucus nigra – Caprifoliaceae)

Da tempo immemorabile gli uomini hanno preso un rametto di sambuco, tolto il midollo e praticando qualche forellino sulla corteccia esterna si sono costruiti uno strumento musicale. Il senso musicale è del resto connesso alla parola sambuco, dal momento che deriva dal greco sambykè:strumento musicale; i ragazzini di campagna si fabbricano con il s. i fischietti, ma anche minuscoli cannoncini per lanciare palline di carta e sassolini. Nel medioevo una pianta di s. era un rimedio sicuro per tenere lontane le streghe da casa; si pensava che non venisse colpito dal fulmine e tagliarlo portava sfortuna ( secondo la tradizione era di s. il legno di cui era fatta la croce di Cristo)

Dai Germani il sambuco veniva chiamato Holunder, “albero di Holda”. Holda o Hulda era una fata del folklore germanico medievale, raffigurata come una giovane donna benigna dai lunghi capelli d’oro, abitava nei Sambuchi che si trovavano nei pressi delle acque di fiumi laghi e fonti. Fin dall’inizio del secolo i contadini tedeschi rispettavano a tal punto il sambuco che incontrandolo nei campi si levavano il cappello. Non osavano sradicarlo e, se volevano tagliarne un ramo, s’inginocchiavano davanti alla pianta con le mani giunte pregando, “Frau Holda, dammi un poco del tuo legno ed io, quando crescerà, ti darò qualcosa di mio”. Per curarsi il mal di denti si doveva camminare fino al sambuco invocando per tre volte: ”Frau Holda, Frau Holda imprestami una scheggia che te la riporterò”. Si staccava la scheggia e, giunti a casa, la si usava per incidere la gengiva fino a macchiare il legno di sangue. Si tornava infine alla pianta, continuando a camminare all’indietro, e si reinnestava la scheggia nel punto in cui era stata tolta: così le si trasmetteva il dolore.

Nelle leggende germaniche il flauto magico era un ramoscello di sambuco svuotato dal midollo, che si doveva tagliare in un luogo dove non si potesse udire il canto del gallo che lo avrebbe reso roco: i suoni che se ne traevano proteggevano dai sortilegi, come testimonia l’omonima opera di Mozart, in cui la regina della Notte dona a Tamino il magico strumento, che tuttavia è d’oro, e a Papagheno un campanellino: suonati al momento del pericolo avranno il potere di liberarli dai guai.

Cucina: i fiori sono usati per fare tè e tisane e vengono aggiunti a gelatine e marmellate, oppure possono essere impanati con uova e consumati fritti; i frutti si usano per fare il vino di s. e marmellate. I fiori, quando sono ancora teneri e profumati, si possono servire fritti in olio o burro come frittelle.

Medicina: tutte le parti sono emetiche; l’infuso dei fiori e il succo dei frutti ben maturi hanno proprietà lassative, antinevralgiche, sudorifere, antireumatiche e sono efficaci nelle malattie influenzali e nel raffreddore.

Cosmesi: l’acqua di fiori di s. schiarisce e ammorbidisce la pelle, elimina le lentiggini, decongestiona gli occhi.

Casa: allontana le mosche; tiene lontani i parassiti dalle gabbie dei conigli Tintura: dà una tintura color lavanda o violetto

 

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