VACCINI AD mRNA E LORO CONCAUSA NELLA GENERAZIONE DI EFFETTI  COLLATERALI GRAVI O INFAUSTI:  UNAIPOTESI DI RICERCA BASATA SULLA COMPARAZIONE  CON IL MECCANISMO DI REPLICAZIONE DEL CORONAVIRUS SARS­ COV-2

 Dott. Massimo Coppolino Biologo Molecolare iscr. ONB n.058502

 

virus sars cov2

 

 

 

 

 

 

•        I VIRUSAD RNA

  • I VACCINIAD mRNA

INDICE

 

  • IL GENOMA DEL VIRUS SARS-COV-2E LA PANDEMIA COVID-19
  • introduzione
  • leprime fasi dopo l’ingresso del virus: laproduzione delle proteine di SARS-Co V-2
  • la replicazione del genoma di SARS-Co V-2
  • i “salti” dell’RNApolimerasi dipendente dall’RNA
  • le modifiche dell’RNA
  • osservazioni
    • VACCINIAD mRNA E LORO EFFICACIA
    • RISPOSTA DEL VIRUSAI VACCINI: LE VARIANTI
  • genotipizzazione e sequenziamento di SARS-Co V-2
  • eziologia di SARS-Co V-2
  • la variabilità genetica di SARS-Co V-2

patogenesi  di SARS-Co V-2

  • ISTOPATOLOGIA DELLA COVID-19
  • LA VARIABILITA’ DI SPECIE DI SARS-COV-2
  • LE VARIANTI:
  • la variante danese
  • la variante inglese
  • la variante sudafricana
    • EFFETTI COLLATERALI DEI VACCINIANTI-COVID
    • STUDIO E IPOTESI
    • CONCLUSIONI
    • PROGETTO

 

VACCINI AD mRNA E LORO CONCAUSA NELLA GENERAZIONE DI EFFETTI COLLATERALI GRAVI O INFAUSTI: UNA IPOTESI DI RICERCA BASATA SULLA COMPARAZIONE CON IL MECCANISMO DI REPLICAZIONE DEL CORONAVIRUS SARS­ COV-2

 

Dott. Massimo Coppolino Biologo Molecolare

iscr. ONB n.058502

 

Premessa Per la mia disamina, parto dalla analisi degli effetti collaterali presentati dai siti internazionali di farmaco-sorveglianza e dalla ricerca di riscontri nella letteratura esistente, specialmente della sequenza dell’mRNA presente nei vaccini anti-CoVID: ho trovato notizie solo relative al vaccino Pfizer-BioNTech, il che non vuol dire che tutto ciò che è in questo vaccino sia presente anche in altri vaccini simili, ma, data laparticolarità del lavoro di inserzione “chirurgico” di sequenza specifiche, non penso che gli altri produttori siano stati “da meno”. Inoltre, mi sono avvalso del materiale inviatomi da vari colleghi e ricercatori oltre che delle evidenze cliniche riferitemi da medici di medicina generale ed internisti operanti in centri CoVID della mia regione.

 

I VIRUSAD RNA+

Sono virus che infettano la cellula eucariote ed hanno un ciclo di replicazione rapido: tra le 6 e le 8 ore dopo l’infezione liberano circa 100.000 virioni completi. Poiché essi contengono un genoma a filamento +, lo mRNA che entra nella cellula serve, per prima cosa, da mRNAper  la sintesi proteica: ciò è essenziale dato che la cellula eucariote non contiene la polimerasi virale necessaria per la replicazione ed essa non è neanche contenuta nel virione. Nel caso dei coronavirus, esso è composto da una estremità al 5′ con un “Cap” che mimetizza la sequenza “self” che lofa riconoscere come mRNA di origine nucleare, alla quale segue subito una sequenza non tradotta di attacco ai ribosomi, mentre alla estremità 3′ contiene un lungo filamento poliadenilato di 30-35 A. Nel mezzo sono presenti la sequenza per la costruzione delle proteine del capside e la proteina spike di legame ai recettori cellulari , e le proteine nspl e 2, necessarie per il clivaggio della proteina spike nellaforma definitiva, capace  sia di legarsi al capside che di legarsi ai suoi recettori specifici.

Dopo aver funzionato da mRNA per permettere la sintesi delle proteine necessarie alla propria replicazione, il genoma virale si stacca dal ribosoma per servire da stampo per la replicazione dell’mRNA. La replicazione inizia con la .formazione di un intermedio di mRNA-, dal quale vieni, immediatamente, ricavato il filamento di m-RNA + che sarà quello che verrà letto dai ribosomi. A questo punto  l’mRNA+precursore viene inglobato e degradato.

 

I VACCINIAD mRNA

Poiché il genoma contenuto nel vaccino è, dichiaratamente, una replica del genoma virale, per comprendere cosa succede una volta che esso penetra nella cellula eucariote, è necessario studiare cosa succede durante la replicazione dell’mRNA virale completo, poiché il genoma vaccinale, pur codificandoper laproteina spike, nonpuò mancare di tutte le strutture “accessorie” alla replicazione cellulare (polimerasi, proteine di clivaggio, Cap al 5′, sequenza poliadenilata al 3′), senza le quali non solo sarebbe impossibile la replicazione della proteina, ma non renderebbe lo mRNA riconoscibile in quanto tale. Quindi, è logico supporre che ilfilamento di mRNA inserito sia anch’esso un mRNA + e possegga tutte le caratteristiche tipiche dell’mRNA virale, altrimenti si tratterebbe di tutt’altra cosa, non utile allo scopo vaccinale.

 

IL GENOMA DEL VIRUS SARS-COV-2 E LA PANDEMIA COVID-19

Introduzione

Il sopraggiungere dell’epidemia del nuovo coronavirus (denominato prima “novel Coronavirus 2019” o 2019-nCoV, ora SARS-CoV-2, da Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2) e la malattia causata (detta COVID-19) a fine 2019 rappresenta ancora una grande sfida per la comunità scientifica.

 

Si sta compiendo uno sforzo enorme per raccogliere il maggior numero di informazioni  nel minor tempo possibile e, infatti, nel solo periodo da gennaio 2020 ad oggi, sono stati pubblicati oltre 1O 000 articoli scientifici sull’argomento. Si sono verificate anche altre epidemie dovute a coronavirus negli ultimi  17 anni: l’epidemia di SARS, nel 2003, e la MERS (Middle East Respiratory Syndrome), nel 2012.   Tuttavia,   queste   due  epidemie   sono   state  così   efficientemente   controllate,   attraverso efficientissimi  protocolli  di cura, noti oggi come “protocollo nazionale, per la cura delle infezioni da coronavirus di tipo Sars” che i vaccini prodotti per limitarne la diffusione non sono stati utilizzati. Infatti, il vaccino contro il SARS-CoV si è fermato alle fasi I e II dei clinical trials, mentre quello contro il MERS-CoV è ancora  in fase di sperimentazione  da  9 anni! Di  questo protocollo,  oggi, sembra  si sia  persa  la memoria,  dato che, non  solo non  è stato applicato, ma  le procedure  ed i farmaci   che  in   esso   si  sono   rivelati   efficaci   sono   stati  vietati   pena   pesanti   ripercussioni disciplinari.  Ciò risulta assolutamente incomprensibile,  soprattutto se si considera che il genoma del virus SARS-CoV-2 (d’ora in poi CoV-2) è per 1’80% identico a suo fratello SARS-CoV, che causa la SARS. Questi virus condividono anche molte caratteristiche biologiche,  inclusi il meccanismo e le proteine  (la  Spike)  che usano  per  entrare  nella  cellula  ospite.  Il  meccanismo  di  replicazione  e trascrizione del genoma di SARS-CoV-2 sembra comune a quello di altri coronavirus. Allora, perché questo virus ha manifestazioni  epidemiologiche  e cliniche così diverse dagli altri coronavirus? Per rispondere  a  questa  domanda,  dobbiamo  fare  un  passo  indietro  e  analizzare  il  meccanismo  di replicazione e trascrizione dei coronavirus.

Le prime fasi dopo l’ingresso del virus: la produzione delle proteine di SARS-CoV-2

I coronavirus hanno il genoma più grande, circa 30 kilobasi, di tutti i virus a RNA Una volta che il coronavirus è entrato nella cellula, il suo genoma a RNA viene immediatamente tradotto dai ribosomi e da proteine specifiche della cellula ospite. Si forma una poliproteina gigante, detta pplab, codificata dal gene replicasi (replicase), a partire da due regioni del genoma virale che possono essere tradotte in proteine e pertanto dette “cornici di lettura aperte” (ORF, Open Reading Frames). La pp lab è tagliata in 16 proteine più piccole non strutturali (nsp, non structural proteins ). È da notare che due delle proteine prodotte precocemente dall’RNA virale (nsp3 e nsp5) sono coinvolte ne taglio di pp lab. Tutte le 16 nsp sono necessarie per la replicazione dell ‘RNA genomico (gRNA) e la produzione dei vari RNA messaggeri (mRNA) sub-genomici virali (sgRNA, i frammenti del genoma da cui vengono tradotte le proteine virali). A valle del gene replicasi, è contenuta l’informazione per la produzione delle proteine strutturali:

  • spike;
    • envelope (proteina del rivestimento del virione);
    • M (proteina di membrana);
    • N (proteina del nucleocapside, che complessa l’RNA virale).

Queste proteine “impacchettano” il genoma virale e sono necessarie alla produzione di nuovi virioni. Inoltre, sempre dal tratto a valle del gene replicasi, sono prodotte sei proteine accessorie (3a, 6, 7a, 7b, 8, 1O) il cui ruolo non è ancora del tutto chiaro.

La replicazione del genoma di SARS-CoV-2

L’RNA dei coronavirus è, di fatto, un mRNA molto lungo. Si tratta di un filamento singolo positivo, ossia viene  letto  dalle  strutture  deputate  alla  traduzione  nella  direzione  cosiddetta  5′—–+3′. La replicazione dell’RNA, cioè la produzione di più copie del genoma virale, è un processo continuo. Il nuovo gRNA viene prodotto per intero grazie alla sintesi di un filamento intermedio negativo (che decorre in direzione 3′—–+5′), che serve da stampo per produrre un nuovo gRNA positivo. Questo processo coinvolge principalmente la proteina nsp l2, che è  un’RNA  polimerasi  dipendente dall’RNA (RdRp), e che sintetizza il primo filamento negativo legandosi all’estremità 3′ del gRNA. Il legame è possibile grazie anche alla formazione di strutture complesse che flettono l’RNA in modo

 

da facilitarne la replicazione grazie all’avvicinamento di alcune porzioni. Al contrario, la sintesi degli sgRNA, è un processo discontinuo, ossia avviene “a salti”. Ogni sgRNA ha, all’estremità 5′, una sequenza di 70 nt chiamata Leader (L), che è presente una volta sola all’estremità 5′ dell’intero gRNA. La sintesi discontinua degli sgRNA dipende da sequenze, chiamate sequenze regolatrici della trascrizione (TRS), presenti a valle del Leader (TRS-L) e che precedono ogni sgRNA (TRS-B). Le TRS contengono delle sequenze conservate (CS, Conserved Sequences) di 6-7 nt, identiche per il TRS-L e per ogni TRS-B e che permettono l’appaiamento della sequenza CS-L con la sequenza complementare CS-B (cCS-B, complimentary CS-B) dell’RNA intermedio negativo nascente, quando     l’RNA     si     piega     per     allineare     la     TRS-L     con     ogni     TRS-B. Questo processo assicura la produzione di ogni sgRNA, che è, sostanzialmente , una fusione tra la sequenza Leader all’estremità 5′ dell’RNA virale e la sequenza dell’sgRNA, preceduto dalla TRS-B. L’intero processo richiede interazioni a distanza RNA-RNA mediate da complessi RNA-proteina.

La sintesi discontinua inizia a ogni TRS-B degli sgRNA. I TRS-B contengono una piccola sequenza identica a quella del TRS-L (sequenza complementare o CS, Complimentary Sequence). Questo assicura lo spostamento e l’appaiamento della sequenza complementare alla CS-B (cCS-B) con la CS-L; in questo modo si producono filamenti negativi per ogni sgRNA a partire dalla sequenza leader (L). Volendo ipotizzare un modello a tre passaggi per la sintesi discontinua. Possiamo descriverlo come: 1) Alcune proteine, con il ruolo di replicasi , legano la CS della TRS-L e della TRS-B, avvicinando TRS-L e TRS-B. 2) Una volta che è stata prodotta una TRS-B negativa dalla RdRp questa si sposta alla TRS-L, aggiungendo una copia negativa della stessa TRS-L e 3) completano il filamento negativo dell ‘sgRNA, che serve da stampo per quello positivo, codificante. [Basato su: Sola et al., Ann Rev Viro!, 2015]

I salti dell’RNA polimerasi dipendente dall’RNA

La sintesi dell’RNA di CoV-2 è, sostanzialmente , identica a quella degli altri coronavirus umani. Tuttavia, Le caratteristiche di alcuni dei suoi sgRNA suggeriscono meccanismi di sintesi alternativi. Nella cellula infetta sono sintetizzate, nel complesso, più molecole di mRNA del CoV-2 che della cellula stessa, come se, in qualche modo, l’espressione dei geni cellulari venisse spenta. Il 92% degli sgRNA di CoV-2 è  prodotto secondo il meccanismo descritto precedentemente e questi sono principalmente rappresentati dagli mRNA per N, S, M, E, 3a, 6, 7a, 7b e 8, ma un certo numero di geni, a funzione ignota, hanno una struttura insolita. La presenza di alcune sequenze di 3-4 nt, identiche all’estremità 5′ e 3′ di questi geni, potrebbe far ipotizzare un meccanismo di “salto dell’RNA polimerasi” (polymerase jumping ) , già descritto in altri sistemi. Questo processo produce un certo numero di sgRNA a funzione ignota nel ciclo vitale del virus, ma che possono essere potenzialmente tradotti in proteine agli stessi livelli delle proteine accessorie. Sarà interessante verificare se queste proteine effettivamente esistano e che ruolo possano avere.

Le modifiche dell’RNA

Le modifiche epigenetiche più note sono quelle  a carico  del  DNA e degli istoni associati , che nell’insieme formano la cromatina, quindi i cromosomi , all’interno della cellula. Anche l’RNA può essere modificato e, in effetti, sono già state osservate modifiche dell ‘RNA virale in altri virus. È stata osservata l’aggiunta di gruppi metilici (su A o C), la perdita di gruppi amminici dalle basi e l’aggiunta di nucleotidi (per esempio di uracile). Sono state identificate modifiche dell’RNA nel CoV-2, ma la loro natura non è stata ancora identificata, né tantomeno è stato chiarito il loro ruolo. Tuttavia, si pensa possano essere coinvolte nel controllo della stabilità dei vari sgRNA o che potrebbero contribuire a eludere il sistema immunitario dell’ospite.

Osservazioni

Le caratteristiche biologiche del CoV-2 sono, in larga parte, sovrapponibili a quelle degli altri CoV. Nonostante ciò, il meccanismo di sintesi del suo RNA è molto complesso e, in alcuni casi, sfugge ai meccanismi  canonici.  In  particolare, l’alta  frequenza  di geni con  struttura  molto  diversa  da  quelli

 

prodotti dal meccanismo di trascrizione canonico potrebbe produrre varianti virali, un punto che merita particolare attenzione se pensiamo ai meccanismi di farmaco-resistenza ed elusione del sistema immunitario che CoV-2 potrebbe evolvere per sopravvivere e propagarsi , fenomeno che, già da solo, basta a sconsigliare la ricerca di un vaccino durante una pandemia, tendendo, invece, ad una maggiore attenzione verso protocolli terapeutici adeguati, in grado di fermare l’avanzate del virus, in attesa di un vaccino efficiente. Le modificazioni dell ‘RNA potrebbero , anch’esse, svolgere un ruolo in questi ambiti. Dallo studio in tessuti animali, dove è attiva una risposta immunitaria, si potranno probabilmente ricavare più informazioni su queste caratteristiche. Inoltre, anche lo studio dell ‘eventuale presenza di modifiche simili dell ‘RNA in altri coronavirus potrebbero fornire informazioni interessanti per comprendere al meglio le proprietà del CoV-2.

VACCNI AD mRNA e loro efficacia

Distinguiamo due tipi differenti di vaccini a mRNA: vaccini a mRNA non replicanti

vaccini a mRNA replicanti

I primi non replicano l’mRNA, i secondi si, con effetti molto differenti. Le evidenze raccolte ad oggi, però dimostrano che i vaccinati non solo non sono protetti ma, se vengono in contatto nuovamente con il virus, o con una sua variante (ne esistono almeno 903.633) il rischio i sviluppare una AD.E è elevatissimo, poiché l’anticorpo vaccinale è altamente specifico per una singola forma virale, ma non lo è per tutte le possibili varianti , cosa che, invece, è in grado di fare, e con alta efficienza, il nostro sistema immunitario che, però, in presenza di una elevata concentrazione di antigeni vaccinali poco specifici o aspecifici, si trova ad affrontare la competizione con questi. Cioè,  ci saranno linee monoclonali di linfociti T di memoria che producono antigeni poco specifici, che saranno immediatamente attivate, interagendo con l’antigene in maniera scarsamente efficiente, e togliendo la possibilità al sistema immunitario di incontrare il nuovo antigene e sviluppare, invece, anticorpi altamente specifici. Le evidenze raccolte ad oggi, contrastano con i dati fomiti dalle ditte farmaceutiche ad inizio della campagna vaccinale e il perché è ovvio: gli studi si sono basati solo ed esclusivamente sulla capacità dei vaccinati di sviluppare anticorpi in rapporto ai non vaccinati , ma nessuno di loro è stato infettato dal virus, quindi non è possibile stabilire realmente come il vaccino avrebbe reagito. Solo infettando i soggetti volontari con il virus, vaccinati e non, si sarebbe potuto fare uno studio efficace, cosa, ovviamente impossibile ed improponibile. Quindi, per valutare realmente la efficacia, bisognerà aspettare la “prova del fuoco”, cioè valutare quanti vaccinati riusciranno REALMENTE a difendersi dalla COVID, con quali vantaggi e, soprattutto, quali e quanti effetti avversi essi svilupperanno. Per un dato reale bisognerebbe aspettare che almeno 1’80% della popolazione sia vaccinata, ma, se nel frattempo, prima di stabilire quanta gente è realmente protetta dalla CoVID grazie al vaccino, da un’altra parte ci sono persone, perfettamente sane, che per colpa del vaccino sviluppano patologie gravi o gravissime o invalidanti che non avrebbero, probabilmente , mai sviluppato nella loro vita, se non, addirittura, che muoiono a pochi giorni dalla prima o seconda dose di vaccino. Secondo le ditte farmaceutiche produttrici di vaccino, ci vorranno almeno tre anni per valutare la reale efficacia dei vaccini , (individui vaccinati che in caso di infezione non sviluppano la CoVID) che nei loro studi preliminari è di 13/1000, cioè dello 1,3%, contro una capacità di produrre anticorpi del 95%. Ciò dimostrava già dagli studi preliminari che gli anticorpi prodotti , anche se in grossa quantità, non servivano realmente a fermare la patologia. Sarebbe, per intenderci , come valutare la efficacia di un giubbotto antiproiettile, non dalla sua capacità di bloccare il proiettile, ma dalla capacità della fabbrica di produrne, senza avere mai fatto prove a fuoco reali e poi, dire ai militari che vano in guerra, di indossarli perché, essendo prodotti in tanti esemplari ed in poco tempo, questi sono “sicuri”. Un controsenso scientifico degno della più becera recessione culturale! Cosa fare, allora? Di sicuro, davanti alla evidenza dei fatti, per cui sono moltissime (già I 000) le persone che muoiono a pochi giorni dal vaccino, e tantissime (già più di 20.000) che sviluppano eventi avversi gravi e gravissimi , che mai avrebbero sviluppato se non si fossero fatte il vaccino, e davanti a dati oggettivi che dimostrano che, durante il periodo vaccinale, si sta assistendo ad una recrudescenza

 

notevole di morti e ricoveri per CoVID, è necessario bloccare la campagna vaccinale e portare avanti studi di carattere clinico, fisiopatologico e immunologico , allo scopo di dare risposta certa ad alcuni quesiti (vedi paragrafo successivo), senza aspettare che queste risposte arrivino, da sole, tra tre anni, dopo la conte dei morti e invalidi e il loro rapporto con i “salvati”, perché con questa condotta scriteriata, si rischia una vera ecatombe!

RISPOSTA DEL VIRUS AI VACCINI: LE VARIANTI

Genotipizzazione  e sequenziamento

Il 1O gennaio 2020 Wu, F. et al. hanno descritto per primi la sequenza genomica del SARS-CoV-2, il nuovo coronavirus associato alla malattia respiratoria apparsa in Cina; immediata è stata l ‘analisi relativa alla sua origine ancestrale. Le sequenze genomiche di SARS-CoV-2 sono state classificate in due lineage principali: A e B. Il lineage A si distingue in 5 ulteriori lineage (A.1-A.5) e due sub­ lineage, mentre nel lineage B si distinguono 9 lineage (B.1-B.9) e molteplici sub-lineage. Genotipizzazione e sequenziamento sono due tecniche per ottenere informazioni sugli acidi nucleici , principalmente sul DNA o RNA di un organismo; la Genotipizzazione permette di definire la variante genetica usando dei marcatori , il sequenziamento determina l’ordine corretto della sequenza nucleotidica all’interno del frammento di DNA o di RNA Le sequenze genomiche sono registrate anche nel database pubblico GISAID che utilizza, per la definizione dei lineage, una numerazione riferita alla struttura genomica del primo virus SARS-CoV-2 il Whuan-Hu-1 /2019. In relazione al fenomeno di espansione naturale di diversità genetica di SARS-CoV-2 è stato predisposto da Rambaut et al. (2020), un sistema di nomenclatura consultabile su https ://covlineages.org Si può avere una variante virale come conseguenza  di combinazioni di diverse mutazioni che possono essere sopravvenute in modo indipendente le une alle altre. La variante virale riguarda modifiche sostanziali della sequenza genica iniziale e la conseguente formazione di un genoma virale diverso da quello iniziale.

Eziologia di SARS-CoV-2

Il SARS-CoV-2 è un virus del diametro approssimativo di 60-l 40nm, la cui forma può essere sferica, ellittica o pleiomorfa, il cui genoma è costituito da un singolo filamento di RNA (virus monocatenario) a polarità positiva, di grande taglia (da 27 a 32 kb nei diversi virus). Questo grande genoma può essere sommariamente diviso in due regioni: la prima sezione di circa due terzi , contenente un grande gene di replicazione che codifica le proteine responsabili della replicazione e trascrizione dell ‘RNA virale e un terzo terminale che codifica le proteine  strutturali e accessorie. I L’RNA dà origine a proteine strutturali ed accessorie. Le più importanti proteine strutturali che compongono il virus SARS-CoV- 2 sono la M (membrana  glicoproteica)  costituita  da due  estremi  che attraversano  il rivestimento esterno (envelope)  denominati  dominio N-terminale  corto (N-terminal)  e un  estremo C-terminale largo  (C-terminal)  che  interagiscono  rispettivamente  all ‘esterno  e  all’interno  del  virione  con  il complesso        RNA-proteina ;                   la             parte          C-terminale   sembra        giocare un                     ruolo                    importante nell ‘assemblamento  del virus. La glicoproteina N (nucleo capside) associato all ‘RNA genomico  è presumibilmente  coinvolta  nella regolazione  della  sintesi  dell ‘RNA aumentandone  la  stabilità  ed interagisce con la proteina M al momento della replicazione virale. La glicoproteina  E (envelope) funziona   come   porina   formando   canali   ionici   e  partecipa   all’assemblamento   del  virus.   La glicoproteina HE (dimero emoagglutinina-esterasi)  del rivestimento , più piccola della glicoproteina S, svolge una funzione importante durante la fase di rilascio del virus all ‘interno della cellula ospite. La  glicoproteina  S  (spike,  dall’inglese  punta,  spuntone)  unita  in  tripletta  (trimero),  si  proietta attraverso l ‘envelope virale e forma le proiezioni di superficie (corona), della lunghezza di circa 20nm. utili  al  virus  per  unirsi  attraverso  un  recettore  denominato  receptor-binding-domain   (RBD)  al recettore ACE2 (angiotensin converting enzyme 2), presente in particolare nelle cellule dei capillari degli epiteli respiratori e gastroenterici. La glicoproteina S si compone di due subunità, S 1 e S2. La prima determina il tropismo cellulare, la seconda media la fusione della membrana cellulare del virus. Successivamente  alla fusione della membrana  del virus  con la cellula infettata, si formano delle

 

vescicole citoplasmatiche a doppia membrana (DMVs), nelle quali sono ancorati complessi replicazione-trascrizione RTCs) che permettono al virus di replicarsi in continuazione.

La variabilità genetica di SARS-CoV-2

I genomi della maggior parte delle specie virali hanno dei geni definiti overlapping genes, formati da due o più proteine codificate dalla stessa sequenza nucleotidica. Quasi tutti i costituenti del complesso RTCs dei coronavirus sono codificati dal grande gene replicasi incorniciato all’interno di geni overlapping, denominati open reading frames ORFl a e ORFl b. Durante la replicazione del genoma virale si assiste ad una produzione affiancata di mRNAs sub genomici che codificano le proteine S, E, M e N ed almeno altre nove proteine accessorie, alcune delle quali tipiche del solo SARS-CoV-2.1 Il virus utilizza un complesso enzimatico denominato RNA polimerasi RNA-dipendente (RdRp), molto simile a quello già utilizzato dal virus SARS-COV 2002, per la replicazione del suo genoma e la trascrizione dei suoi geni. Il complesso RdRp è a sua volta costituito da tre sub unità denominate nsp12, nsp8 e nsp7 che permettono in successione la replicazione della lunga catena di RNA del coronavirus. Il complesso RdRp è il bersaglio degli inibitori analoghi nucleotidici, in particolare del remdesivir, che hanno evidenziato attività antivirale in colture cellulari e nei modelli animali. Si è visto che SARS-CoV-2 utilizza la glicoproteina omotrimerica spike (S) con il suo recettore RBD per legarsi al recettore funzionale umano angiotensin-converting enzyme (ACE2); il recettore RBD è stato scelto come principale bersaglio delle varie strategie messe in atto, per la cura e la prevenzione della malattia in modo da bloccare l’entrata del virus. Gli studi sul recettore RBD hanno molta importanza per i gruppi di lavoro che si occupano di immunologia cellulare e molecolare. In particolare sono stati analizzati funzionalmente i principali amino acidi residui che si trovano attorno al recettore RBD, che possono interagire con il recettore ACE2 e gli anticorpi neutralizzanti disponibili.

Patogenesi di SARS-COV-2

Anche se non è possibile riportare l’ampia gamma delle conseguenze provocate nei pazienti COVID19, durante le fasi iniziali (fase 1 e 2) della malattia, la risposta immunitaria adattativa dell’individuo infetto tende ad eliminare il virus nel punto di entrata, evitando così la progressione del danno sull’organismo ospite. Esistono differenze genetiche, che possono influenzare le variazioni della risposta immunitaria degli individui al patogeno. Nella fase 3 si genera un importante danno polmonare, per la comparsa della sindrome da liberazione di citochine (cytokine storm syndrome), caratterizzata nei casi gravi da una fulminante e a volte fatale iper-citochinemia. Lo stato generale del paziente dovuto alla sensibilità genetica e la presenza di altre patologie concomitanti, facilitano la propagazione del virus e il tropismo per gli organi dotati di recettori ACE 2, così come l’aumento della produzione, nei casi gravi, di citochine IL-6, ILI (Interleuchine 1 e 6) e di TNF-a (Fattore di Necrosi Tumorale). Il grave stato di infermità dei pazienti si caratterizza per la polmonite, linfopenia, sindrome da liberazione di citochine che attivano un’esagerata risposta immunitaria con danni  a livello locale e sistemico. Dopo che il SARS-COV-2 è penetrato all’interno della cellula ospite e aver liberato il suo materiale genetico (RNA), viene riconosciuto dai recettori dell’immunità innata localizzati all’interno della cellula ad esempio i Toll 7 (TLR7), RIG-1 y MDA 5, attivando una cascata

di segnali chimici  che determina l’espressione  degli interferoni  IFN tipo I (a e B) il cui scopo è

impedire la replicazione virale. Dall’altra parte, gli antigeni virali processati dalle cellule specifiche che presentano l’antigene (APC dall’inglese Antigen-Presenting Cell, in grado si esporre gli antigeni sulla propria superficie) mediante il sistema MHC-I (Complesso Maggiore di Istocompatibilità) attraverso il recettore (TCR) del linfocito T CD8+ liberano i loro enzimi proteolitici (Linfocita T citotossico). Nello stesso istante inizia un aumento della sintesi di mediatori pro infiammatori (tempesta citochimica) derivata dalla liberazione di Interleuchine, IL-lB (attivazione dei neutrofili e pirogeno endogeno), IL-6 (attivazione dei neutrofili), IL-7 (differenziazione dei linfociti T), IL-8 (attivazione dei neutrofili), IL-9 (fattore di accrescimento dei linfociti), IL-10 (soppressione della proliferazione e produzione di citochine linfocitarie e TNF-a (che attiva la risposta dei neutrofili e incrementa la sintesi di PCR). Per gli aspetti riguardanti l’immunità umorale, si è visto che nel plasma

 

di pazienti convalescenti, le cellule B producono anticorpi specifici contro la glicoproteina S del SARS-CoV-2. Xueto CA e collaboratori hanno riferito che pazienti con sintomi gravi hanno livelli maggiori di IgG e titoli più alti di anticorpi locali associati a prognosi peggiori. La tempesta di citochine è il fenomeno che determina i danni peggiori all’epitelio respiratorio. I pazienti che necessitano di terapia intensiva presentano un aumento molto importane di IL-6 e GMCSF (Granulocyte-Macrophage Colony-Stimulating Factor), fattore importante per la riparazione dell’epitelio alveolare danneggiato da lesioni causate dall’iperossia ed infiammatorie del polmone). Studi istopatologici dimostrano che nel polmone avviene un’infiltrazione massiva di neutrofili e macrofagi, si instaura un danno alveolare diffuso con formazione di membrane ialine ed ingrossamento della parete alveolare, necrosi dei gangli linfatici conseguente ad un fenomeno immuno-mediato.

ISTOPATOLOGIA DELLA COVID-19

In un lavoro scientifico pubblicato dal King’s College nel mese di novembre del 2020, sono riportati i risultati di esami anatomo-patologici effettuati su 41 pazienti deceduti da COVID-19 per evidenziare i danni polmonari provocati dal virus. In quasi il 90% dei pazienti erano evidenti delle lesioni da considerare tipiche del COVID-19 se comparate ad altre forme di polmonite. Per prima cosa era evidente un’estesa coagulazione nelle arterie e vene polmonari (trombosi); molte cellule polmonari erano abnormemente ingrossate con all’interno  molti nuclei, segno di fusione di diverse cellule. Questa formazione di cellule diverse (sincizi) è provocata dalla proteina virale spike, utilizzata dal virus per entrare nella cellula. L’infiammazione e la trombosi potrebbero essere 5 causate dalla proteina del COVID-19 presente sulla superficie della cellula infetta, che stimola la fusione con le cellule polmonari normali che la circondano. L’ 11 dicembre 2020 nel sito ARS Toscana C. Silvestri e C. Stasi hanno pubblicato il punto sulle terapie in uso per la malattia da SARS-COV2 riportando una tavola tratta dall’articolo Pharmacologic Treatments for Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) Sanders JM, Monogue ML, Jodlowski TZ, Cutrell JB. [JAMA published online ahead of print, 2020 Apr 13] https ://www. ars.toscana.it/2-articoli/4306-nuovo-coronavirus-punto-vaccino-terapi e-covid- 19-sarscov-2-trattamenti-s perimentazi one-vaccini-cure. html#cosa-e-nuovo-coronavirus                                                                                   Per informazioni web relative alle ultime evidenze scientifiche riferite al COVID-19, si può consultare il sito ECDC: https://www.ecdc.europa.eu /en/2019-ncov-background-disease.

A seguire, invece, riporto quanto riferitomi dai medici friulani del gruppo “Medici Comp. FVG Covid-19 , non perché siano oggetto dello studio della presente tesi, ma perché è utile un confronto tra quanto emerge dallo studio precedente e dalla evidenza clinica della patologia, per confrontarli con quanto, invece, dovesse emergere da uno studio dello stesso tipo degli effetti del vaccino. Successivamente, dimostreremo che la quasi totalità delle evidenze istopatologiche sono dovute al legame della proteina spike ai recettori.

Quando il virus entra nella cellula causa rapidissima (soprattutto con le varianti che hanno elevato indice di replicazione) alterazione del sistema ciliare, cambiamento citopatologici della interfaccia alveolo capillare con induzione alla iperplasia degli pneumociti II, che non scordiamo sono quelli che producono surfattante, come iniziale tentativo  riparativo senza che essa freni la rapida espansione virale con danno alveolare severo e diffuso.

Inoltre è stato dimostrato che lo stress ossidativo in corso di Covidl 9 può aumentare ed aggravare la viremia, lo stress ossidativo polmonare si verifica quando gli antiox endogeni sono insufficienti al fabbisogno come in caso di ipossiemia oper effetto delle componenti infiammatorie o direttamente dal virus.

Il sistema di difesa antiox degli pneumociti II basato su Superossidodismutasi (SOD) e GSH viene menofisiologicamente con l ‘età opatologicamente in grande proporzione in corso di Covidl 9.

Istopatologicamente a livellopolmonare si ha: Ispessimento dei setti interalveolari per edema, danno alveolare aspecifico, con immunoistochimica che localizza antigeni virali solo su cellule alveolari. Danno alle cellule alveolari, iperplasia deglipneumociti 2 (a sostituire quelli tipol irrimediabilmente danneggiati), essudato fibrinoso in alveoli e interstizio, infiltrato cronico, evoluzione più o meno

 

rapida in fibrosi alveolare e settale con anelasticità del parenchima polmonare interessato. L’efficacia dei mucolitici è modesta perché nonfanno in tempo ad agire mentre la Bromelina ha un suo razionale maggiore per aerosol perché essendo un enzima proteolitico potrebbe ostacolare la formazione dell’essudato fibrinoso endoalveolare di cui sopra, da non confondersi con la Bromexina che agisce inibendo (non so quanto e a che dosaggio) la TMPRSS2. Il virus entra attraverso le vie respiratorie, immediatamente viene fagocitato da macrofagi (presenti sugli pneumociti Tipol) e linfociti e trasferito a livello dei setti da cui una parte entra nel circolo sistemico ed una parte si ferma nell’interstizio ispessendolo e provocando anche alveolite, difatti il quadro radiologico è di broncopolm. interstizio alveolare più o meno grave.

Il riscontro del fatto che la Sars Cov 2 sia endoteliotropo e l ‘abbinamento con uno stato infiammatorio delle cellule endoteliali con disfunzione e morte delle stesse giustifica l’interessamento sistemico della Sindrome.

Da unpunto di vista istopatologico l ‘interessamento delle cellule endoteliali infette si manifesta con rigonfiamento e perdita di contatto con la membrana basale ed alterazione delle giunzioni intercellulari quindi aumentata permeabilità verso gli strati esterni del vaso.

Non a caso le prognosi peggiori sono a carico di soggetti con preesistente disfunzione endoteliale (Ipertensione, Diabete, Obesità) in cui c ‘è aumentato rischio di eventi tromboembolici e vasculite, inoltre esattamente come accade per altri patogeni infettivi virali o batterici la coagulopatia può essere mediata direttamente dall ‘infiammazione da essi indotta.

L’endotelio ”perturbato” ad opera delle citochine diventa protrombotico ed è di costante riscontro il quadro di diffuse trombosi “dinamiche” del microcircolo polmonare.  Non esistendo memoria immunologica il virus non viene neutralizzato dai leucociti e diffonde in circolo ove a livello di endotelio induce una ”perturbazione” con perdita della elettronegatività di superficie del “glicocalice “(lo strato direttamente a contatto con il sangue) e quindi conseguente adesione ed aggregazione di piastrine e polimorfonucleati confenomeni diffusi a livello sistemico oltre chepolm. e ripetuti di microtrombosi “dinamiche” del microcircolo che si ricanalizzano quasi immediatamente ad opera del sistema fibrinolitico endogeno e la fase di riperfusione conseguente aggrava il tutto causando iperproduzione di radicali liberi, altamente lesivi dell’endotelio e della superficie endoalveolare (surfattante), ciò innesca un circolo vizioso, pertanto la precocità di intervento ed il corretto timing sonofondamentali. Scusate la lunghezza del post.

LA VARIABILITA’  DI SPECIE SARS-CoV-2

Il sarbecovirus del pipistrello RaTG 13, isolato da Rhinolophus affinis horseshoe  (un pipistrello di medie dimensioni che vive nell’India settentrionale, Nepal, Cina meridionale, Sumatra e Borneo) studiato nel 2013 nella provincia di Yunnan , presenta cluster di SARS-CoV-2 in quasi tutte le regioni genomiche; circa il 96% della sequenza genomica è identica. Attorno alla grande regione del genoma virale di SARS-VOV-2, corrispondente approssimativamente alla regione ORF Ib, si è visto che non vi erano corrispondenze con altri  coronavirus conosciuti, facendo presumere che un fenomeno di ricombinazione aveva giocato un ruolo chiave nell’evoluzione del virus. Zhou et al. hanno ipotizzato, sulla base della forte somiglianza genetica di SARS-CoV-2 con RaTG13, che l’origine dell’attuale focolaio di COVID-19, sia il pipistrello. I dati relativi alle diversità tra SARS-CoV-2 e i sarbecovirus presenti nel serbatoio dei pipistrelli, indicano che la linea genetica che ha dato origine al SARS-CoV- 2 ha circolato per decenni nei pipistrelli senza essere mai stata notificata. I Nel rimanente 4% di diversità genomica del SARS-COV-2 e delle sue nuove varianti, sono presenti meccanismi di ricombinazione genica e di attività legate all’azione di mRNAs che si stanno studiando con l’utilizzo di tecniche proteomiche (tandem mass spectrometry-based proteomics) e transcriptomiche (PIT) per poter verificare i cambiamenti dei siti di fosforilazione della glicoproteina S. Questi studi sono importanti per valutare l’impatto sulla popolazione determinato dalle modifiche presenti nelle nuove varianti del virus SARS-CoV-2 e nei contesti di preparazione e somministrazione di profilassi con vaccini basati sull’utilizzo di questa proteina il cui sviluppo, per la prevenzione della malattia causata da infezione SARS-COV-2, è avvenuto rapidamente, ma ancora poco si sa delle correlazioni immunitarie  relative  alla  protezione  o  dell ‘abilità  del  virus  di  evitare  la  risposta  immunitaria

 

dell’ospite, attraverso mutazioni e ricombinazioni. La variabilità dei virus si manifesta all’interno di uno stesso ospite (intraspecifica) , o in più ospiti (intraspecifica). La variante più frequente che troviamo in natura è il virus “selvaggio” (wild type). La sequenza nucleotidica più spesso riscontrata nel virus selvaggio viene definita sequenza consensus, un nucleotide teorico rappresentativo o una sequenza specifica di amino acidi, nella quale ogni nucleotide o amino acido è quello che si trova più frequentemente in quel sito, nelle differenti sequenze riscontrabili in natura; le combinazioni genomiche e amino acidiche rispetto al virus selvaggio  si definiscono mutanti. Mediante l’analisi filogenetica si individuano le linee evolutive delle specie virali, evidenziando i genotipi ed i sottotipi. Diversi genotipi o sottotipi possono avere proprietà diverse es. la patogenicità , la sensibilità ai farmaci compresi gli anticorpi (esogeni-terapia con plasma) o endogeni (a seguito di stimolazione vaccinale). Un virus omogeneo può essere perfettamente adatto a replicare nella condizione standard (wild type); se la condizione cambia (es. aggiunta di un farmaco), quel virus può soccombere rapidamente o modificarsi in una condizione quasispecies, termine introdotto da M. Eigen, nel 1989, per definire una distribuzione di mutanti generata da una mutazione definita nell’ambito del processo di selezione. La condizione di quasispecies garantisce che all’interno della popolazione virale ci sia, o si possa facilmente evolvere, una variante adatta ad ogni nuova condizione. La mutazione può avvenire per errori durante le fasi di replicazione e in risposta ad una pressione selettiva determinata da fattori esogeni, risposte che il virus mette in atto per difendersi da situazioni sfavorevoli. Queste risposte si manifestano con variazioni di uno o più nucleotidi nel genoma dell ‘RNA virale (delezione, evento correlato ad un nuovo inserimento nel genoma stesso) e/o ad un cambiamento di uno o più amino acidi mediante sostituzione o rimpiazzo. Per convenzione, un cambiamento aminoacidico viene registrato con un numero progressivo e una sigla formata da una sequenza di lettere e numeri es. N501Y registra la sostituzione (rimpiazzo) rispetto al virus di  referenza  Whuan-Hu-1 /2009 dell’amino acido asparagina (N) con il nuovo amino acido tirosina (Y) al sito 501 nella sequenza amino acidica della proteina S1. La delezione, chiamata anche delezione genetica o mutazione per delezione è una mutazione che, nel caso dei coronavirus, riguarda l ‘RNA virale. Questa mutazione viene riportata graficamente con la sigla DEL (del) o con il simbolo L1 relativa alla posizione in cui avviene la sostituzione di una sequenza nucleotidica H69del/V70del o 1169/L1V70. Col termine delezione “out of frame” o mutazione “frame-shift” s’intende la rimozione o l’aggiunta di uno o più nucleotidi con grave distruzione della produzione di proteina, fenomeno che avviene ad esempio in alcune mutazioni legate alla distrofia muscolare di Duchenne. Il risultato di questa delezione è che la proteina prodotta è resa completamente non funzionale all’attività iniziale, oppure non viene prodotta. Per lineage (nuova linea genetica) s’intendono modifiche genetiche singole o multiple che non cambiano sostanzialmente le risposte degli individui infetti e vengono  registrati e  descritti combinando dati genetici ed epidemiologici. SARS-COV 2, virus a RNA monocatenario con genoma lungo e complesso di oltre 29.000 basi a catena positiva è altamente ricombinogenico. I virus influenzali RNA a catena negativa con genoma segmentato hanno un’evoluzione basata su mutazioni e subiscono fenomeni di riassortimento , ma non subiscono la ricombinazione omologa dei segmenti dell’RNA; gli aspetti riguardanti la nuova comparsa di focolai d’influenza umana, si possono ridurre a fenomeni di riassortimento di ognuno degli otto segmenti di RNA che formano i virus influenzali. Per i coronavirus, invece, gioca un ruolo importante la ricombinazione di piccole subregioni genomiche, come già detto prima, fenomeno molto comune che si verifica frequentemente ed indipendentemente dai segmenti di RNA Le ricombinazioni sono identificabili se si hanno a disposizione sufficienti campioni di comparazione dei virus presenti negli animali serbatoio, in modo che si possa supportare la ricerca sulla loro circolazione endemica e la co-infezione. Le linee genetiche e le varianti virali del SARS-CoV-2 vengono valutate mediante studi di perturbazione dell’energia libera (Free energy perturbation-FEP) e dinamiche molecolari (MD) che eseguono ad esempio serie di calcoli sull’interazione del recettore RBD della proteina spike S1 col recettore ACE2 e con anticorpi derivati da pazienti affetti da COVID-19 es.I ‘anticorpo STE90-C 11.

LE “VARIANTI”

 

La variante danese del COVID-19 – Il 12 novembre 2020, l’ECDC ha pubblicato un documento nel quale si conferma che nel mese di novembre, la Danimarca aveva riportato 244 casi umani di COVID- 19, infetti con una variante del virus SARS-CoV-2 correlato al visone. Nel contempo era stata rilevata la presenza di visoni infetti in più di 200 allevamenti. La maggior parte dei casi nell’uomo e negli animali erano stati diagnosticati nella regione del North Jutland. Le varianti del SARS-CoV-2 rinvenute in questi casi erano parte di almeno cinque focolai strettamente collegati ; ogni focolaio era caratterizzato da una specifica variante visone correlata, identificata nell’uomo e negli  animali presenti negli allevamenti infetti. In uno di questi focolai (Cluster 5), nel quale il virus aveva circolato in agosto e settembre 2020, la variante si caratterizzava per quattro modifiche genetiche, tre sostituzioni ed una delezione nella proteina  spike (S). Considerato che la proteina spike S contiene il Receptor-Binding Domain, e  che  questo  è il  principale  bersaglio  per  la  risposta  immunitaria dell ‘ospite, si è ipotizzato che questa mutazione potesse teoricamente essere implicata in un aumento della capacità del virus di infettare l’uomo e gli animali, nella trasmissibilità e nell’ antigenicità. Come conseguenza dell’evoluzione dei virus l’aumento delle modifiche del dominio funzionale della proteina S, si potrebbe verificare una diminuzione  dell’efficacia  dei  trattamenti,  dei  test diagnostici, dell’efficacia dei vaccini che si stanno somministrando. Ulteriori verifiche e studi su questa variante sono in corso per verificare la portata di queste possibili evenienze. La variante danese è stata inserita nel database https ://cov-lineages.org come Danish lineage il 20.04.2020 riferita alla presenza della sostituzione Y453F. Per le indagini relative a questa variante ECDC aveva dato indicazioni prioritarie per l ‘implementazione da parte delle autorità nazionali di attività sistematiche riguardanti l’esecuzione di test sull’uomo, sequenziamento e caratterizzazione delle proprietà antigeniche e dell’infettività ed in particolare sui lavoratori e sulle comunità vicine agli allevamenti di visoni. Veniva chiesto di condurre accurate indagini sui focolai, test sui lavoratori e contact tracing, immediate applicazione dell’isolamento e quarantena nel caso di casi identificati correlabili agli allevamenti di visoni. Un altro aspetto considerato riguardava l ‘applicazione di misure di prevenzione e controllo per gli addetti degli allevamenti e i visitatori con divieto di accesso agli allevamenti di persone con sintomi compatibili con infezione da COVID-19. Si  chiedeva l’adozione di misure organizzative per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori , formazione, dispositivi di protezione per le vie aeree e per gli occhi, valutando anche le possibili barriere linguistiche legati a lavoratori stagionali. In un contesto di prevenzione e controllo della diffusione del SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni veniva raccomandata una sorveglianza ripetuta e/o test sugli animali morti con frequenza settimanale, misura da mantenere fino a quando non fosse possibile escludere l’esposizione tra uomo ed animali. Gli isolati di ceppi SARS-CoV-2 da tutti gli animali infetti dovevano essere genotipizzati sistematicamente secondo protocolli validati e sequenziati genotipicamente ed in particolare dai visoni per permettere una rapida identificazione di possibili focolai e delle varianti correlate. L’abbattimento dei visoni e la gestione delle spoglie animali nelle aziende infette andavano gestite secondo specifici protocolli di biosicurezza La predisposizione , lo sviluppo e la realizzazione di un programma strategico di risposta  One Health prevedeva un forte coordinamento dei settori dell’agricoltura, della salute animale ed umana compresa la salute e la sicurezza occupazionale per dare una pronta ed efficace risposta. Un fattore molto importante è l’accrescimento della consapevolezza del pubblico per quanto concerne gli aspetti di prevenzione correlata ai casi SARS­ CoV-2 visone-correlati , la conoscenza di strategie di controllo e prevenzione rivolte specificatamente agli allevatori , ai lavoratori impiegati negli allevamenti , ai veterinari e agli staff veterinari che lavorano negli allevamenti di visoni e dei partners che operano nell’industria delle pellicce. Questi concetti contenuti nel documento relativo alla comparsa della variante Danese dei visoni , sono poi stati ripresi e sviluppati nei documenti ECDC del SARS-CoV-2 VOC202012 /01, lineage B 1.1.7, denominata anche variante inglese e della nuova variante 501.V2, Sud Africa. 5-9-10-11 .

La variante inglese – Il 19 settembre 2020 il COVID 19-UK Consortium ha pubblicato un documento di aggiornamento sul contesto delle mutazioni tracciate, che descrive un set di particolare interesse epidemiologico per lo scenario inglese, basato sulla letteratura scientifica già esistente e su lavori che non erano ancora stati pubblicati. L’analisi si basa su 126.219 genomi di campioni positivi generati dal consorzio COG-UK con l’identificazione di 1.777 differenti (non identificate con sinonimi)

 

modifiche aminoacidiche nel gene S, delle glicoproteine Spike, senza comprendere le mutazioni che non hanno dato un’alternanza dell’amino acido che sono le più numerose o mutazioni comparse altrove nel genoma. Di queste 8 modifiche non identificate con sinonimi il 37% (n=4) sono state osservate in una singola sequenza, il 5% (n=87) sono state osservate in almeno 100 sequenze. In particolare sono state investigati da COG-UK cinque rimpiazzi aminoacidici, una delezione e combinazioni di alcuni di queste modifiche. La mutazione D6 l 4G non presente  nella  sequenza iniziale era divenuta ubiquitaria e sembrava associata ad un moderato effetto sulla trasmissibilità del SARS-CoV-2. La mutazione A222V, presente nel cluster 20A.EU1 SARS-CoV-2, denominato anche lineage B.1.1. 7 che era diffuso in Europa, sembra sia originata in Spagna. Introduzioni multiple probabilmente associate ai viaggi estivi verso la Spagna ci sono state in Gran Bretagna seguite da diffusione in tutto il Paese. N439K è comparso in Scozia nel mese di marzo 2020 in una lineage che non ha circolato per molto tempo (B.1.141), ma si è poi ripresentata in UK in molteplici occasioni nel lineage B.1.258. Questo lineage sta circolando ora in molti Paesi Europei e in ambito internazionale.  La  mutazione  N439K  sembra  abbia  ridotto  la sensibilità  a piccoli  sottoinsiemi   di anticorpi monoclonali che riconoscono come bersaglio il recettore RBD. mantenendo nel contempo l ‘affinità per i recettori ACE2 in vitro. La proporzione di virus con la sola delezione 11H69/11V70 è progressivamente aumentata da agosto 2020,  in  concomitanza  alla  comparsa  di  una seconda mutazione la N439K. Il 26 novembre 2020 erano presenti almeno il doppio di casi nei quali venivano isolate sequenze cumulative di delezione rispetto a lineage con la singola N439K.  Considerato l’alto numero di campioni fatti, l’Inghilterra è risultata il paese con la più alta proporzione di virus circolante con mutazioni N439K+ 11H69/11V70 rispetto alla lineage che presentava la sola  N439K. Il basso numero di sequenziamenti in molti altri paesi, indica che la prevalenza di lineage N439K potrebbe essere relativamente alta così come si è verificato in Scozia. In data 26 novembre 2020 era presente una correlazione inversa con evidenza di 546 sequenze N439K contro  177  sequenze N439K+ 11H69/11V70. Queste differenze riflettono la comparsa di caratteristiche  differenti  nell’evoluzione

epidemica e contestualizzano i momenti in cui si sono diffuse le varianti N439K con o senza delezione. Il 20 dicembre 2020 l’ECDC ha pubblicato il documento Rapid increase of a SARS-CoV-2 variant with multiple spike protein mutations observed in the United Kingdom, nel quale vengono riportati i dati relativi all’analisi della sequenza del genoma virale identificato conseguenti alla comparsa di un grande numero di casi appartenenti ad una nuova variante caratterizzata da mutazioni multiple della proteina S, 1169/1170, del l 44, N501Y, A570D, D614G, P681H, T716I, S982A, D ll l 8H. Dalle analisi preliminari  condotte in UK emergerebbe che questa variante è significativamente più  trasmissibile di quelle  che  circolavano precedentemente,  con una stima potenziale  di aumento del numero di riproduzione di base RO ovvero la trasmissibilità potenziale di una malattia infettiva non controllata dello 0.4 o maggiore. L’aumento stimato di trasmissibilità poteva arrivarefino  al 70%. Lo studio non riporta evidenze relative alla presenza di quadri clinici di maggiore gravità rispetto alla diffusione della nuova variante. Qualche caso legato a questa variante è stato riportato in Danimarca, in Olanda e secondo quanto riferito dai media anche in Belgio. Il lavoro scientifico Recurrent  emergence  and transmission   of  a   SARS-CoV-2   Spike  deletion   11H69/11V70,   pubblicato   il   15  dicembre   2020, documenta nuove emergenze legate a fenomeni di insuccesso anticorpale mediato dalla glicoproteina Spike, in un individuo trattato con plasma di soggetti convalescenti, in uno scenario determinato dalla mutazione     D6 l 4G.   Simili     delezioni,                     nel            Dominio-specifico   N-Terminale                      degli                   anticorpi neutralizzanti    (NTD),  sono  state  segnalate  su  soggetti  nei  quali  c’erano  state mancate  risposte  alla cura con anticorpi. Le modifiche dinamiche delle varianti Spike 11H69/11V70, una delezione D796H si sono verificate in seguito ad utilizzi  ripetuti  di Plasma; il mutante in vitro ha mostrato ridotta sensibilità alla terapia con plasma e altre tipologie di sieri, mantenendo un’infettività comparabile al virus selvaggio.  Si è ipotizzato che la delezione  sullo spike 1169/11V70  sia avvenuta in risposta compensatoria  e/o  evasione  anticorpale  così  come  è  stato indicato  per  altre  delezioni  Dominio­ specifico N-Terminale degli anticorpi neutralizzanti (NTD., Successivamente si è creata la necessità di   caratterizzare   le  circostanze   specifiche   della  nuova   emergenza   globale   determinata   dalla 11H69/11V70. Il documento analizza i dati di pubblicazione reperibili nel sito GISAID relativi alla circolazione di SARS-CoV-2 con sequenze 11H69/11V70. É difficile prevedere l’importanza di ogni

 

mutazione che compare per la prima volta quando si lavora in uno scenario emergenziale con continue comparse di nuove mutazioni.

La variante sudafricana del SARS-COV-2 – Il 29 dicembre 2020 l’ECDC ha pubblicato una rapida valutazione del rischio relativa alla comparsa della variante 501.V2 in Sud Africa nel mese di ottobre confermata mediante sequenziamento dell’intero genoma e diventata in quel Paese la forma dominante. Questa variante si caratterizza per un’aumentata trasmissibilità. Il 22 dicembre 2020 è stata isolata la variante 501.V2 sudafricana nel Regno Unito (due casi geograficamente separati) ed in Finlandia (un caso), relativi ad individui sintomatici venuti a contatto con persone provenienti dal Sud Africa. L’ECDC ha stimato che il rischio di introduzione e di probabile diffusione in Europa delle varianti SARS-CoV-2 VOC 202012/01 e 501.V2 è alto a causa della maggiore trasmissibilità in termini di ospedalizzazione e mortalità di persone anziane, che presentano altre patologie concomitanti. ECDC prescrive agli Stati Membri l’intensificazione delle misure per l’identificazione mediante sequenziamento delle nuove varianti e l’aumento delle attività di controllo mediante test nelle popolazioni epidemiologicamente collegate a focolai o contatti con individui positivi per le varianti inglese e sudafricana. Nello stesso documento si riportano i tassi di ospedalizzazione , occupazione dei posti di terapia intensiva (Intensive Care Unit-ICU) dell’ultima settimana di dicembre segnalando un forte aumento dei casi in 30 Paesi rispetto alla settimana precedente ed una mortalità di persone con età maggiore di 45 anni aumentata in 29 Paesi. Il 4 gennaio 2021, il Ministro della Salute Inglese ha dichiarato di essere particolarmente preoccupato per l’insorgenza di casi della variante Sud Africa nel suo Paese dopo che il Prof John Bell, della Oxford  University, che ha partecipato allo sviluppo del vaccino appena autorizzato per l’uso nel Regno Unito, ha definito la questione relativa all’efficacia del vaccino contro questa variante un “grande punto interrogativo”. Anche il Prof Simon Clarke, microbiologo cellulare associato all’Università of Reading, ha dichiarato che le due varianti Inglese e Sud Africa avevano molte caratteristiche comuni e che la variante Sud Africa potrebbe avere mutazioni addizionali tali da rendere il virus meno sensibile alla risposta immunitaria stimolata dai vaccini.

Approccio laboratoriale alle mutazioni – Vengono adottati al riguardo diversi approcci per identificare mutazioni di un certo interesse. Si considerano interessanti le mutazioni che teoricamente vengono identificate come potenzialmente importanti negli esperimenti di laboratorio, ma i cui effetti non sono ancora comparsi sull’uomo, per capire rapidamente quale importanza possono avere in caso di reale diffusione. Si osservano le tendenze e la relativa frequenza di comparsa di varianti virali specifiche. Se queste varianti compaiono maggiormente in una popolazione , rispetto ad altre varianti , si deve procedere alle necessarie verifiche per spiegare il fenomeno. Una delle possibili ragioni è che un virus nel quale si verificano specifiche mutazioni o combinazioni di mutazioni , può diffondere più rapidamente in una popolazione per una maggiore infettività o trasmissibilità. È necessario dare risposte agli interrogativi che si pongono quando in gruppi di persone sembra che l’infezione sia più grave. Allora si procede con test di sequenziamento ed analisi dei genomi. Sarà importante sequenziare il virus SARS-CoV-2 man mano che viene estesa la profilassi vaccinale e questa riguarderà anche persone infette già vaccinate o persone che si infettano per la seconda volta, con l’obiettivo di scovare nuove varianti che hanno eluso il sistema immunitario, con meccanismi legati alla precedente infezione o alla vaccinazione.

 

 

EFFETTI COLLATERALI DEI VACCINI AD mRNA

Sono gli effetti verificatisi ad oggi, sia in Italia che nel resto del mondo, dove la campagna vaccinale è iniziata prima che in Italia. Distinguiamo a breve, medio e (supponiamo) lungo termine.

BREVE TERMINE: coagulazione intravascolare diffusa; trombosi; emorragie cerebrali; ictus: infarto; tremori; paralisi di Bell; paresi ed emiparesi degli arti, sia inferiori che superiori, morte improvvisa.

MEDIO TERMINE: leucopenia, trombocitopenia , piastrinopenia , malattie autoimmuni ,

 

LUNGO TERMINE (ipotesi): 1- creeranno un aumento dei casi asintomatici in grado di diffondere forme mutate del virus, poiché i vaccini , mascherando i sintomi della CoVID, non permetteranno a chi si riinfetta, in alcuni casi, di essere cosciente del fatto di essere stato reinfettato, facendo da inconsapevole untore per il resto della popolazione; 2- stimolano solo gli anticorpi antgene-specifici indotti artificialmente , e non le cellule NK, vere armi per la neutralizzazione del virus; 3- permettono la creazione di moltissime varianti vaccino resistenti e fqrmaco resistenti ; 4- in caso di infezione da CoVID precedente al vaccino ( per cui sono presenti anticorpi sviluppati naturalmente) o in caso di reinfezione con i virus o virus simili, si svilupperà laA.D.E., con, paradossalmente , i vaccinati che svilupperanno una ptologia simil-covid con effetti devastanti e difficili da curare (long-covid).

STUDIO E IPOTESI

Nonostante le evidenze, il mondo scientifico delle case farmaceutiche ha deciso lo stesso di partire con  la  sperimentazione  dei  vaccini  ad  mRNA  direttamente  sull’uomo,  saltando  la  fase  4  della sperimentazione , e questo ha portato non solo alla presenza di effetti collaterali gravi non previsti, ma anche di eventi infausti! Per bloccare il dilagante numero di decessi da vaccino, è necessario studiarne la composizione genetica, per poi associarla al meccanismo di replicazione noto del virus. Ho studiato, quindi, la sequenza dei primi (fondamentali) 500 nucleotidi che formano il “vaccino” ad mRNA della Pfizer, notando da subito che questa sequenza non é quella originale presente nel virus SARS-CoV- 2, ma una sua versione “rivista e riadattata” affinché l’mRNA possa raggiungere risultati “eccellenti” (dipende dal punto di vista). Esso é stato ottenuto da un apposito DNA sintetizzato in laboratorio e, poi, inserito in cellule di E. Coli per produrre l’mRNA, poi, con particolari tecniche, l’Uracile é stato sostituito,  in  tutta  la  sequenza,  con  l -metil-3′-pseudouridina.   Anche  i  codoni  sono  modificati , cambiandoli in terza posizione per aggiungere il maggior numero possibile di G e C. Il cap GA serve a far credere che lo mRNA sia stato prodotto dalla cellula e i successivi  57 nucleotidi  servono ad ottimizzare l’attacco ai ribosomi. Essi non sono assolutamente presenti nella sequenza originale virale, sono di  sintesi, e ricopiano  la  sequenza  primer  della  alfa-globina  umana,  conosciuta  per  la  sua altissima affinita di legame ai ribosomi , una capacita rinominata , non a caso, “prima io”, poiché, una volta legata, si impossessa dell’apparato di traduzione e non si stacca finché non si degrada totalmente la catena poli  A  Lo pseudouracile  mimetizza  la molecola  e la rende irriconoscibile  alle RNAsi, impedendone  la distruzione.  Segue la  sequenza per  la  Spike vera  e propria.  Anche  qui  ci  sono pseudouridina e abbondanza di C e G, ma non importa, perché le triplette codificano tutte per lo stesso aminoacido originale. Tutte tranne due: 3″‘ e 4′”, che producono Pralina. La presenza di due “ponti” di pralina  stabilizza  la proteina  finale nella  forma che avrebbe  se fosse legata  al  capside virale, altrimenti collasserebbe su se stessa e si creerebbero anticorpi contro un qualcosa che nel virus non é presente. Seguono sequenze di pochi nucleotidi (6 o 7) che, una volta tradotti , danno un “indirizzo”: fanno sì che la proteina  Spike sia espulsa dal RER, avvolta  da una vescicola  fosfolipidica, e sia indirizzata verso la membrana. Poi ci sono alcune piccole sequenze: queste sintetizzano tre proteine: una  RdRp, necessaria  a  generare  il  filamento  mRNA-  complementare ,  dove la pseudouridina  è naturalmente sostituita dall’Uracile e, tramite la polimerasi  cellulare, fungere da stampo per mRNA ciclici che avranno sempre la precedenza sugli mRNA cellulari. Seguono le proteine nsp2 e 3, per il clivaggio della proteina nella forma definitiva.

Fino a qui i dati sono incontrovertibili. Ora, ogni ipotesi, si basa sulla letteratura passata, sulle conoscenze acquisite sui beta-coronavirus (specialmente SARS-CoV, con cui il virus attuale condivide 1’80% del genoma), sul metodo di replicazione e sulle conoscenze certe di microbiologia. La molecola di mRNA, come in tutti i coronavirus di tipo beta, subisce un processo noto come “splicing”, per cui viene tradotta a “pezzi” detti clusters. Il primo ad essere tradotto è il cluster della RdRp, per la produzione del filamento complementare mRNA- e la creazione di un dsRNA che funga da stampo per gli mRNA futuri. Abbiamo, quindi, un mRNA esogeno che interferisce (fenomeno della “interferenza” ben conosciuto ed usato da molti virus) con gli mRNA della cellula, scalzandoli letteralmente di posto e monopolizzando le linee ribosomiali di traduzione. Questo potrebbe provocare una sofferenza cellulare, poichè essa non riesce a produrre a sufficienza le sue proteine strutturali e, quindi, rischiare la lisi. La presenza di un dsRNA provoca, di contro, la attivazione dei

 

recettori di membrana che inducono la produzione di interferone alfa, il quale, legandosi ai suoi recettori di membrane, fa rilasciare citochine di richiamo (pro infiammatorie) per i linfociti T helper che, a loro volta, riconosciuto l’antigene spike, che nel frattempo si è legato sulla membra al recettore ACE2 ed alla furina (per cui ha grande affinità) richiamano siai linfociti B, per la produzione di anticorpi, che i linfociti T citotossici per la induzione esogena della apoptosi cellulare, dato che la cellula si comporta esattamente come se fosse invasa  dal virus! Una volta che si forma l’immunocomplesso di istocompatibilità di tipo I (la spike è un antigene “endogeno” e non “esogeno” come nei vaccini “classici”) questo viene riconosciuto dai linfociti B i quali possono produrre sia anticorpi contro la spike che contro la proteinaACE2 , o sue parti. Ciò perchè la Furina “taglia” il legame della Spike alla membrana e, quindi, trasforma l’immunocomplesso in un nuovo antigene , che sarà intercettato dai macrofagi , degradato, e presentato nelle sue parti costituenti sulla sua superficie esterna, pronto a far generare gli anticorpi specifici. Questo, normalmente , succede in piccola percentuale , ma, dato che la molecola di mRNA vaccinale perdura, grazie ad una lunga catena poliadenilata al 3’ per lungo tempo e, quindi, si producono migliaia di copie di Spike al minuto, la “piccola” percentuale , mi va a rappresentare , comunque, grandi numeri. Si può calcolare(c’è chi lo ha fatto) che una singola dose di vaccino possa contenere fino a 14.000 -20.000 miliardi di particelle di mRNA! Ognuna infetta una cellula differente e vi resta attiva per diversi giorni! Non deve, quindi, sorprendere se si genera una “tempesta citochinica” che ha le dimensioni di uno Tsunami! Non solo. Alcune molecole di mRNA, forse la maggioranza, non finiscono in cellule somatiche, ma nelle APC (come dichiarato dalle ditte farmaceutiche) e li vengono processate ed esposte sulla superficie. Molte di queste sono mastcell che, come è noto, una volta esposto l’antigene inducono una grossa produzione di eparina, causando la sindrome nota come HIT (Heparine Induced Trombosis) , con la attivazione dei recettori di membrana piastrinici e induzione della coagulazione rapida, causando la trombosi diffusa che, in alcuni casi, è stata la causa principale di morte dei soggetti vaccinati. Infatti, i mastociti hanno al loro interno granuli contenenti eparina, istamina e acido arachidonico e sono presenti ,in maggioranza, sia nel tessuto connettivo che nella mucosa dei bronchi , del tratto respiratorio superiore e del tratto gastroenterico. Normalmente , il rilascio di eparina, istamina e acido arachidonico avvengono in presenza di uno stato infiammatorio locale, ma se essi vengono a contatto con una sostanza antigenica per lungo tempo o in quantità massicce, questa può provocare la risposta immunitaria, con produzione di IgE specifiche che, al secondo contatto con l’antigene, provocano il rilascio incontrollato di istamina, eparina e acido arachidonico. Questi hanno funzione vasodilatatrice , aumentano la permeabilità della membrana vasale, permettendo il passaggio nel torrente circolatorio di tutte le cellule del sistema immuitario e di piastrine, allo scopo di attaccare l’antigene presente nel torrente circolatorio. Nel caso di endocitosi dell’mRNA vaccinale, l’antigene non viene fagocitato perchè si trova all’interno, e non all’esterno, ma l’effetto sarebbe identico e, quindi, la superproduzione di proteina Spike potrebbe avere una azione immunostimolante , con conseguente produzione di IgE, degranulazione massiccia dei mastociti e rilascio, nel torrente sanguigno di enormi quantità di eparina ed istamina con conseguente schock anafilattico, oltre al fatto che le piastrine, in presenza del complesso PF4-eparina (PF= fattore piastrinico) attivano il processo coagulativo, attraverso il legame della proteina spike con i recettori di superfice piastrinici FcyRIIA, si genera un immunocomplesso riconosciuto da !sistema immunitario, generando autoanticorpi , causando sia trombocitopenia che trombosi diffusa periferica che si vanno a sovrapporre, se non si interviene subito, alle già presenti broncocostrizione e spasmo laringeo causando, nel breve periodo, anossia, soffocamento e morte. La diagnosi è solamente clinica, in quanto si manifestano i sintomi in assenza di splenomegalia, HIV, epatopatie o altre patologie che ne giustificano la presenza.Altro fenomeno di rilevante importanza è, se si è venuti a contatto con virus simili in passato, la possibilità che si dia origine alla ADE, una risposta immunitaria che, anzichè impedire l’ingresso del virus nella cellula, lo facilità, causando tutti i casi di “positività” e di sindromi covidiane, di inaudita potenza (dato che il vaccino è oramai non solo inutile, ma causa stessa della malattia!) difficili da curare, anche con i farmaci disponibili , con aumento della morbilità per CoVID. Altra possibilità: la presenza nelle cellule contenenti l’mRNA di frammenti di recettore, potrebbe indurre una reazione autoimmune che, nel lungo periodo, può trasformarsi in sindrome autoimmune (e questo vale anche per le APC, con conseguenze disastrose,

 

fino alla leucopenia grave). Infine: la presenza di dsRNA potrebbe indurre la trascrittasi inversa cellulare (sempre presente, checchè ne dica qualcuno, nelle cellule eucariote) con la genesi di dsDNA, il quale, sempre statisticamente è sempre con bassa, ma esistente, probabilità, potrebbe integrarsi (trasposone) in maniera randomica nel DNA della cellula ospite, bloccando la produzione di geni normalmente espressi, o inducendo la produzione di geni normalmente inespressi che, se dovessero essere i regolatori della crescita cellulare (come i TNF) possono indurre la nascita di tumori. Ora, invece, consideriamo la possibilità che la Spike, una volta che la vescicola fosfolipidica che la avvolge si fonde con la membrana cellulare, non trovi dove “agganciarsi”: è molto probabile che essa venga rilasciata per esocitosi e vada in circolo. La proteina Spike ha affinità di legame per i recettori ACE2, per i recettori T4 e per le integrine. Inoltre, si lega ai recettori di membrana dei batteri Gram+ presenti nella flora batterica intestinale. Il suo legame con questi recettori potrebbe provocarne la inattivazione e, di conseguenza, generare una interferenza, ad esempio, con l’equilibrio renina-angiotensina , provocando ipo o iper-tensione arteriosa e squilibri nel bilancio elettrolitico cellulare. Il legame con la T4 può portare inibizione della trasformazione della triiodiotironina , con conseguente iporesponsività e origine della Sindrome RTH, con quanto ne consegue. Ciò che, però, mi preoccupa di più è il legame alle integrine. Esse, infatti, sono ubiquitarie e presenti in tutti i tessuti , ma specialmente nell’epitelio vasale, nelle giunzioni neuromscolari e nelle sinapsi, dove regolano il passaggio del neurotrasmettitore. Il legame della Spike, in teoria (anche se le evidenze cliniche non mancano) può quindi essere la causa della inibizione  di funzioni neurologiche superiori, come il movimento, la memorizzazione delle informazioni , l’attenzione, con conseguenti paresi o emiparesi , tremori , deficit cognitivi, eventi che si sono manifestati in molte occasioni come reazioni avverse ai vaccini ad mRNA.

 

Concludendo

Credo che tali considerazioni (condivise da esponenti di spicco del mondo scientifico medico e clinico) debbano essere oggetto di approfondimento , per il bene dei soggetti che vogliono sottoporsi ai vaccini , e per le ditte farmaceutiche, affinchè blocchino la distribuzione dei vaccini  attuali e si prendano il tempo necessario per rivederne la formulazione, onde valutare, in maniera non affrettata, come è stato, tutti gli effetti possibili e fornire un prodotto sicuro ed efficace, scevro di rischi , e questo è possibile programmando unadeguato piano di studi biochimici , immunologici , immunoistochimici  e clinici.

 

PROGETTO

Il progetto prevede la partecipazione di 100 pazienti , divisi equamente per fasce d’età (25 nella fascia 30-45, 25 nella fascia 46-60, 25 nella fascia 61-75, 25 nella fascia over 75) e per sesso (60 donne e 40 uomini ,dato che la prevalenza della patologia sembra essersi sviluppata nelle donne). Questo primo grupo di pazienti , che devono essere perfettamente sani e scevri da ogni patologia che possa compromettere il funzionamento del sistema immunitario (militari , appartenenti alle FF.00.atleti , o ex tali) viene sottoposto a tutta una serie di esami necessari a studiare la loro condizione fisica: emocromo completo con formula, antibiogramma per la ricerca della presenza di batteri che possono causare l’insorgere di patologie respiratorie , ricerca di anticorpi IgG, IgM, IgE ed IgA, specifici per il virus SARS-CoV-2 e per la valutazione della presenza di allergie, test trombofilici , Te torace, SPECT cerebrale, Ecocolor doppler dei vasi epiaortici Ves,PCR, curva glicemica ed insuliemica, gamma-GT, gruppo sanguigno. Questi test devono essere effettuati a 7 giorni prima della inoculazione del vaccino, ed a 7-14-21 gg dopo la inoculazione della prima dose ed a 7-14-21 gg dalla inoculazione della seconda dose. Ad eccezione della TC torace, della SPECT cerebrale e dell’eco color doppler, che vanno effettuati solo al primo ed all’ultimo giorno della sperimentazione. Una seconda fase della sperimentazione , richiede l’acquisizione di dati istopatologici  dai pazienti deceduti dopo somministrazione di vaccino, soprattutto se il decesso è avvenuto entro le 3 settimane successive alla inoculazione della prima dose o delle 4 successive alla seconda dose. Degli stessi deve essere raccolta, attraverso i MMG che li avevano in cura, adeguata documentazione sullo stato clinico pregresso del paziente.

 

La terza fase dello studio, si basa sulla comparazione dei dati e sulla verifica del modello descritto che,  in  linea  di  massima,  funge  da  “linee guida”,  ma  che,  in  presenza  di  evidenze  cliniche  o ematochimiche,  può  essere  modificato  in  corso  d’opera.  La  quarta  fase  dello  studio prevede  la elaborazione  di un protocollo  farmacologico da associare alla somministrazione  del vaccino onde ridurre  a zero il  rischio  morte  e di una  aggiornata  tabella  dei  rischi  in presenza  di  determinate patologie, affinchè il MMG possa decidere con certezza se il paziente in cura possa essere sottoposto o no al vaccino. Terminato studio se ne propone la divulgazione a mezzo di riviste specializzate e la pubblicizzazione presso studi medici e laboratori d’analisi dei maggiori centri ospedalieri del territorio nazionale ed alla CTS del governo ed allo ISS, affinchè  propongano  una modifica di legge, presso il Ministero della Salute, sulla assunzione semi-volontaria del vaccino, eliminando la fase in cui sia il paziente a compilare il modulo di richiesta, ma sia invece il medico curante ad indicare se il paziente, in base alle nuove evidenze scientifiche, ha beneficio o rischio nella somministrazione del vaccino. Un rischio compreso tra il  10-20% deve rendere la somministrazione del vaccino “consigliata”, un rischio tra il 21-30% la deve classificare a medio rischio (sorveglianza di base durante il periodo di somministrazione), sopra il 30% di rischio il vaccino va sicuramente sconsigliato.

 

Ringraziamenti:  si ringraziano le dott.ssa Loretta Bolgan, il dott. Paolo Bellavite e il dott. Salvatore Totaro per la preziosa collaborazione.

Palermo, 01/04/2021

Dott. Massimo Coppolino

 

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