Condizione dalle cause sfuggenti e dai fastidi persistenti, la dispepsia funzionale può essere diagnosticata soltanto dopo aver escluso la presenza di una lesione organica a carico dell’apparato gastrointestinale. Ecco come riconoscerla e alleviarla.

DISPEPSIA FUNZIONALE

 

Si parla di una malattia “funzionale”, quando di fatto non c’è un danno o una lesione evidente all’organo coinvolto, ma il disturbo si manifesta con un’alterazione della funzionalità.

Quando si parla di dispepsia funzionale, ci si riferisce a un paziente che presenta un vasto quadro di sintomi, che vanno dal gonfiore addominale, all’acidità gastrica, nausea, vomito, eruttazione, in generale il 40% degli italiani, che soffre di dispepsia funzionale, parla in modo generico di “cattiva digestione”.

Con il termine funzionale, si vuole indicare che in realtà nonostante i sintomi, tutti gli esami diagnostici a carico di organi e tessuti sono risultati negativi, quindi di fatto non c’è un danno strutturale, ciò non di meno la funzionalità dell’apparato digerente risulta compromessa.

Spesso le cause sono:

  • Helicobacter Pylori (batterio gram negativo che si annida nel muco gastrico);
  • ulcera gastrica (allo stomaco);
  • gastriti;
  • uso di medicinali;
  • obesità

Molto più facilmente però il disturbo è legato alle cattive abitudini alimentari.

Nel caso della “dispepsia funzionale” comunque si sta procedendo verso diagnosi sempre più differenziali, tenendo conto dei vari tipi di sintomi. Questo permette di avere un quadro clinico più preciso e di perfezionare la terapia, individuando di volta in volta i farmaci più utili per attenuare il fastidio prevalente nel singolo caso. Vediamo come.

I CRITERI PER LA DIAGNOSI DI DISPEPSIA FUNZIONALE

La dispepsia funzionale è una sindrome caratterizzata da sintomi cronici a carico di diverse parti del tubo digerente e prevalentemente localizzati a livello dello stomaco e del primo tratto dell’intestino (duodeno).

In base a quanto stabilito circa la diagnosi della dispepsia funzionale dai cosiddetti “Criteri di Roma” (linee guida riguardanti i disturbi funzionali gastrointestinali prodotte da esperti internazionali e periodicamente revisionate e aggiornate), i sintomi tipici di questa condizione comprendono:

  • senso di sazietà precoce durante i pasti
  • sensazione di pienezza (spesso tale da impedire di finire una porzione media di cibo)
  • dolore epigastrico e/o bruciore.

A queste manifestazioni principali possono poi aggiungersene altre, variabili da persona a persona per combinazione e intensità, come per esempio nausea (ma soltanto raramente vomito), gonfiore addominale, eruttazioni e, talvolta, una tendenza al rigurgito.

Per soddisfare la diagnosi di “dispepsia funzionale” i sintomi citati devono essersi variabilmente manifestati per almeno sei mesi, senza che sia stato possibile riconoscere un’alterazione organica strutturale in grado di giustificarli.

Sempre secondo i “Criteri di Roma”, nel contesto della dispepsia funzionale possono essere distinti due quadri clinici caratterizzati da sintomi differenti e, idealmente, meritevoli di una terapia mirata cosa, al momento, non ancora del tutto attuabile a causa della scarsità di opzioni di cura efficaci.

Una prima variante è la “sindrome da distress post prandiale” (PDS), contraddistinta dal fatto di manifestarsi sempre in associazione ai pasti con sensazione di fastidio, senso di sazietà precoce e pienezza, mentre bruciore e dolore addominale sono molto lievi o assenti.

Bruciore epigastrico e un fastidio più simile a quello determinato dalla gastrite sono, invece, caratteristici della seconda variante della dispepsia funzionale, nota come “sindrome da distress epigastrico”, che può manifestarsi in qualunque momento della giornata, sia dopo i pasti sia a digiuno.

In base ai dati epidemiologici disponibili la sindrome da distress post prandiale è molto più diffusa della sindrome da dolore epigastrico, peraltro spesso difficile da differenziare dalla malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), caratterizzata dalla risalita verso l’esofago di parte del contenuto acido dello stomaco con conseguente sensibilizzazione e irritazione (esofagite).

POSSIBILI CAUSE

Nonostante la sua notevole diffusione e i numerosi tentativi di comprenderne l’origine, le cause della dispepsia funzionale restano perlopiù sconosciute e, con ogni probabilità, sono da ricercare non in una singola alterazione, ma nella combinazione sfavorevole di più disfunzioni che incidono negativamente sull’efficienza del processo digestivo.

Gli studi condotti soprattutto nell’arco dell’ultimo decennio hanno evidenziato alcuni possibili fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi digestivi tipici della dispepsia funzionale: tra questi, il primo sembra essere l’Helicobacter Pilori, il test di positività a questo batterio viene sempre fatto in una fase precoce di diagnosi, al secondo posto sembrano esserci il fumo, lo stress e l’ansia, le cattive abitudini di vita in generale e l’appartenenza al sesso femminile.

Più incerto sembra essere il ruolo della depressione, condizione che può, comunque, insorgere secondariamente a causa della cattiva digestione e del malessere fisico persistente che la accompagna.

Altri elementi che è stato ipotizzato siano all’origine della dispepsia o contribuiscano alla sua comparsa sono:

  • i disturbi della motilità del tubo digerente con conseguente rallentamento dello svuotamento gastrico
  • l’alterata secrezione acida durante e dopo i pasti e quella di ormoni che regolano la funzionalità gastrica in rapporto all’assunzione di cibo, come grelina e colecistochinina
  • l’infezione da parte di batteri, virus o protozoi che aggrediscono l’apparato gastroenterico (spesso associate a diarrea)
  • sensibilizzazione immunitaria conseguente all’esposizione a particolari fattori ambientali (ancora da determinare), ad antibiotici, o derivante da intolleranza o allergia nei confronti di specifici alimenti o loro componenti, come il lattosio oppure il glutine.
  • le alterazioni del microbiota intestinale, in analogia a quanto riscontrato in altri disturbi gastrointestinali di origine funzionale, come la sindrome del colon irritabile
  • la familiarità anche se non si hanno a disposizione informazioni su specifici geni implicati.

Le abitudini alimentari e lo stile di vita incidono in misura sostanziale sulle manifestazioni della dispepsia funzionale. In particolare, è dimostrato che una dieta ricca di grassi e cibi elaborati non può che peggiorare pesantezza e gonfiore addominale in chi già soffre di cattiva digestione, mentre alimenti piccanti o piatti speziati che irritano la mucosa gastrica e stimolano la secrezione acida possono esasperare il bruciore di chi ha una dispepsia funzionale caratterizzata prevalentemente da dolore epigastrico.

Sul fronte dello stile di vita, sono invece soprattutto i ritmi troppo concitati, lo stress e l’ansia di fare tutto in fretta, pasti compresi, a compromettere la funzionalità di stomaco e intestino.

LE INDAGINI CLINICHE E STRUMENTALI UTILI

Per stabilire se i disturbi digestivi sperimentati sono dovuti alla dispepsia funzionale è necessario che il medico escluda preliminarmente ogni altra possibile causa nota di cattiva digestione.

Per farlo dovrà prescrivere alcuni esami del sangue per verificare la funzionalità del fegato e del pancreas ed escludere la presenza di una calcolosi delle vie biliari, che va sempre sospettata se le difficoltà digestive sono accompagnate da dolore addominale di tipo colico localizzato nella zona a destra dello stomaco, nausea e (a volte) vomito. Se questi esami del sangue danno esiti sospetti può essere richiesta anche un’ecografia dell’addome di conferma.

Se i sintomi sono più simili a quelli della gastrite, dell’ulcera gastrica o della malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), invece, l’esame chiave per la diagnosi differenziale è la gastroscopia. A riguardo va detto che distinguere tra la quota minoritaria di pazienti con dispepsia funzionale nella variante “da distress epigastrico” e MRGE non è sempre semplice, dal momento che i sintomi tendono a essere simili e in alcuni casi le due condizioni coesistono. D’altro canto, capire esattamente di che cosa si tratta è importante per poter scegliere la terapia più appropriata, basata sempre su farmaci antiacidi della classe degli inibitori della pompa protonica (PPI) nel caso della MRGE o anche su farmaci procinetici, che accelerano lo svuotamento gastrico, in caso di dispepsia funzionale con alterazioni della motilità.

La terapia empirica con inibitori della pompa protonica può essere utilizzata anche come conferma diagnostica: se sintomi come dolore epigastrico e bruciore scompaiono (o migliorano notevolmente) con la terapia, significa che era presente una MRGE o un’ulcera gastrica e che il paziente dovrà continuare a essere trattato in questo modo. Viceversa, si dovrà passare a farmaci di altro tipo, come i procinetici. In quest’ultimo caso, per approfondire la situazione (anche se raramente si ha una reale necessità di ricorrere a indagini di questo tipo), può essere indicata l’esecuzione di un test di motilità gastrica per escludere la presenza di gastroparesi, ovvero un ritardato svuotamento dello stomaco in assenza di ostruzione meccanica.

Un ulteriore esame necessario per orientare la cura, più che la diagnosi, è il test per l’individuazione dell’infezione gastrica da Helicobacter pylori: oltre a essere stato riconosciuto come principale responsabile dell’ulcera gastrica, questo batterio è risultato associato sia alla MRGE sia ai sintomi della dispepsia ed è stato osservato che la sua eliminazione attraverso la terapia con antibiotici contribuisce ad alleviare sostanzialmente tutti e tre i disturbi e a evitare danni significativi alla mucosa gastrica.

LE TERAPIE DISPONIBILI

Ci sono diversi farmaci che possono essere utilizzati nel trattamento della dispepsia funzionale, è sempre però utile determinare bene il quadro sintomatologico per scegliere la terapia più mirata.

Per prima cosa il medico di solito prescrive il test per l’individuazione dell’Helicobapter Pylori, se il test è positivo per l’Helicobacter il primo intervento utile è eradicarlo con la terapia antibiotica prevista. Una volta raggiunto questo risultato, in molti casi i sintomi migliorano, ma non sempre in modo sostanziale o non spariscono completamente.

Per attenuare i disturbi da cattiva digestione residui, si possono seguire due strade, a seconda che il problema prevalente sia legato all’alterata secrezione acida o a una ridotta motilità del tubo digerente. Nel primo caso, si può provare con antisecretori gastrici , ce ne sono di più tipi dagli H2 inibitori agli inibitori della pompa protonica.

Se il problema è più legato alla pesantezza e al gonfiore addominale allora sarà più indicato intervenire con farmaci procinetici quali aumentano la frequenza di movimento dell’apparato digerente facilitando lo svuotamento dello stomaco.

A volte poi si può ricorrere all’utilizzo di ansiolitici, e/o antidepressivi della classe dei triciclici (TCA), per ridurre la componente psicosomatica, si è visto infatti che questi farmaci riescono a ridurre i sintomi della dispepsia associata a dolore epigastrico, soprattutto se il disturbo è legato allo stress.

APPROCCI ALTERNATIVI ANTI-DISPEPSIA

Gli studi a supporto dell’efficacia di interventi psicologici e psicocomportamentali nel trattamento della dispepsia funzionale non sono molti, ma si può comunque provare a sfruttare questi approcci soprattutto in quei pazienti che manifestano il disturbo in periodi della vita caratterizzati da momenti di grande ansia, e stress. Si visto che a volte anche un atteggiamento poco sereno nei confronti dell’alimentazione può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di dispepsia e per il peggioramento dei sintomi in chi già ne soffre.

In questi casi tecniche di rilassamento come meditazione, yoga, agopuntura, respirazione guidata e ipnosi ecc. possono essere utili, anche se non ci sono prove cliniche a supporto di questi metodi, tuttavia si tratta di approcci generalmente privi di reazioni avverse e controindicazioni, che agiscono soltanto sul rilassamento psico-motorio, perciò chi ha fiducia in queste tecniche può affidarsi anche a queste metodologie alternative, senza però trascurare le terapie prescritte dal proprio medico.

Infine si può ricorrere anche a rimedi naturali, tendo però presente che anche in questo caso non ci sono dati scientifici a supporto, però, se non sono presenti controindicazioni specifiche, nulla vieta di sperimentare a livello individuale il possibile beneficio offerto da tisane e infusi a base di finocchio, anice, limone, zenzero, menta e liquirizia, che possono aiutare a ridurre la sensazione di pienezza e gonfiore addominale e le eruttazioni, stimolando blandamente la secrezione acida gastrica e lo svuotamento dello stomaco. In caso di sintomi più simili a quelli della gastrite, invece, meglio puntare su infusi con un effetto “calmante” sulla mucosa gastrica e sulla psiche, per esempio a base di camomilla o tiglio.

 

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